Domani sera, a cena, i grandi del mondo ospitati da Silvio Berlusconi al vertice dell’Aquila discuteranno di Iran, ma è improbabile che il G8 vada oltre l’esprimere preoccupazione per ciò che sta succedendo a Teheran, nonostante i picchetti anti Ahmadinejad organizzati dai militanti di Israel Project. Il premier italiano, in un’intervista al Giornale, ha fatto intendere che il summit non adotterà sanzioni economiche nei confronti del regime degli ayatollah atomici. “Credo alla fine si preferirà insistere sulla strada del dialogo”, ha detto Berlusconi. Ufficialmente la linea di Barack Obama è ancora quella con cui ha vinto le elezioni: l’offerta di dialogo rivolta all’establishment teocratico iraniano resta valida, anche se sempre meno praticabile dopo la repressione post elettorale a Teheran. Il presidente americano, ancora prima che scoppiasse la crisi politica interna in Iran, aveva promesso che avrebbe preso provvedimenti più severi se “entro l’anno” il regime islamico non avesse dato qualche segnale positivo.
Il New York Times ha parlato di un piano B (sanzioni internazionali) già pronto nel caso in cui l’Iran rifiutasse di aprire un negoziato sul nucleare e, nei giorni scorsi, Obama e il suo vicepresidente, Joe Biden, hanno alzato i toni. Il presidente, prima della partenza per la Russia, ha detto all’Associated Press che non si è rassegnato all’idea di un Iran nucleare, come si diceva a Washington prima delle elezioni iraniane, anzi ha spiegato che i piani della sua Amministrazione vanno nella direzione opposta, anche perché un Iran dotato di bomba scatenerebbe una corsa al nucleare in una regione già molto problematica: “Sarebbe una ricetta per un disastro”, ha detto Obama.
Joe Biden si è spinto oltre e gli analisti americani non sanno ancora se abbia lanciato un avvertimento agli iraniani o se sia incappato in una delle sue solite gaffe. Il vicepresidente, infatti, ha detto in televisione che Israele ha il diritto di agire preventivamente per distruggere le centrali nucleari islamiche e non ha escluso che l’America possa concedere all’aviazione israeliana il diritto di sorvolo sullo spazio aereo iracheno, un permesso che George W. Bush un paio di anni fa aveva rifiutato. Secondo il Times di Londra, i servizi segreti del Mossad avrebbero assicurato al premier israeliano Benjamin Netanyahu che i sauditi, altamente preoccupati dall’ipotesi di un Iran nucleare, chiuderebbero un occhio nel caso i jet di Gerusalemme volassero sopra il regno saudita per colpire i siti iraniani. I segnali dell’Amministrazione Obama sul dossier iraniano sono contraddittori e non si capisce bene se siano il prodotto di una confusione programmatica o, al contrario, di un equilibrato dosaggio di “bastone e carota”. Domenica, infatti, l’ammiraglio Mike Mullen, capo di stato maggiore dell’apparato militare americano, ha detto di essere molto preoccupato che un eventuale attacco israeliano ai siti nucleari iraniani possa scatenare un conflitto più ampio con conseguenze inattese e “molto destabilizzanti”. Il giorno prima, però, il dipartimento del Tesoro aveva comunicato di aver individuato vari gruppi iraniani che “minacciano la pace e la stabilità del governo iracheno” e che “compiono, dirigono, sostengono o pongono il rischio serio di commettere atti di violenza contro le forze della coalizione”. Qualche mese fa era stato il dipartimento di stato a definire l’Iran come il principale paese sponsor del terrorismo islamico in medioriente e altrove. Il Tesoro, ora, ha esteso a questi gruppi le sanzioni economiche e finanziarie già applicate da anni al regime di Teheran. Il margine di manovra di Obama è ristretto, perché l’America pratica già l’embargo nei confronti delle merci e dei beni iraniani e l’Agenzia atomica delle Nazioni Unite ha già detto che tecnologicamente l’Iran è pronta a costruirsi la bomba. L’unica via per aumentare la pressione sugli ayatollah è convincere europei, russi e cinesi ad adottare un serio regime di sanzioni internazionali, un’iniziativa che Obama sta cominciando a perseguire. Anche se non ancora al G8 dell’Aquila.
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