Quando stamane ho acceso il pc, collegandomi ad internet e aprendo la pagina di davidegiacalone.it, il titolo m'ha freddato, il contenuto reso ancora una volta partecipe di quel che rimane intorno: macerie, come se di quelle non ne fossimo già provvisti.
Poi osservo il procedimento di Calciopoli (ventisette mesi di gestazione, naturalmente ancora in atto), i suoi contenuti, i suoi protagonisti, principali e non, e tutto torna: "Finché la giustizia sarà un campo occupato dalle tifoserie, dal corporativismo e dal dilettantismo, il rimedio non ci sarà. Continueremo a peggiorare.".
E il peggio s'è raggiunto ieri, quando davanti alla sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli, sede del Consiglio Superiore della Magistratura, s'è alzato il velo sui contrasti interni al procedimento stesso.
Una messa a nudo di quel che oggi passa il convento. Da una parte un processo che s'è trascinato per oltre due anni e in cui sono emersi colpi di tosse che avrebbero presunto l'esistenza di un'associazione a delinquere, dall'altra la lotta interna per l'indipendenza: "Dicono l'indipendenza della magistratura. Non possiamo più parlare. C'è solo l'indipendenza dei pubblici ministeri, il procuratore della Repubblica tiene sotto schiaffo il presidente del tribunale..."; Teresa Casoria alludendo a lettere riservate tra Giandomenico Lepore e Carlo Alemi nelle quali si diceva: "Vedi che devi fare per farla astenere" (sulla questione il presidente del Tribunale di Napoli Alemi ha sostenuto che non esiste alcuna lettera riservata dalla procura).
La serenità di giudizio nel procedimento di Calciopoli, non parlo di dignità, quella è stata persa in una trionfante estate di cinque anni fa, difetterà sicuramente, ma quello che si prospetta ancor meno sereno è il futuro. E allora non posso far altro che riaprire quella pagina e costatare che la lentezza della giustizia è una condanna per i deboli, per le vittime, per chi ha ragione, mentre una gran pacchia per colpevoli e profittatori.
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