..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

martedì 23 ottobre 2012

PERCHE' SIC

E’ un diluvio di sentimenti e parole che non rallenta. Al punto da rendere anomala la forma. Marco Simoncelli è un patrimonio universale, in nome suo accade di tutto in continuazione, il tam-tam rilancia desideri, emozioni e persino qualche speculazione, qualche forzatura da spettacolo, da talk show. Non è questo il punto, ovviamente. Piuttosto, ad un anno dalla morte del Sic, viene da chiedersi come mai abbiamo a che fare, ciascuno per il suo verso, con la sua figura, i suoi gesti, le sue parole. Le risposte sono molteplici, ciascuna buona e lecita. Quella che più ho presente riguarda la natura del rapporto, abbinata mai come ora al passaparola immediato, multiplo e facile generato dai social network. La natura appunto, mise e mette a confronto un ragazzo, anzi, un ragazzino, anzi uno strano bambino, con chi lo stava, lo sta a guardare. Questo bimbo, così fragile, esposto, buffo, sempre capace di proporre un linguaggio semplice e magari censurabile (come censuriamo talvolta i nostri figli che ripetono, senza nemmeno accorgersene, qualche parolaccia), a ciascuno di noi, a ciascuno dei nostri figli o fratelli somiglia. Somiglia ai bambini che siamo stati, alle prese con le bellezze e i primi nodi della vita. In tutto questo la pista, il Simoncelli pilota, c’entrano meno. La sua carriera agonistica, piuttosto, è servita a renderlo popolare. Un mezzo, dunque, con la sua bella immagine da guerriero, casco, tuta, quella roba lì, tipica dei campioni, utile però in questo caso a produrre un incontro sorprendente.

Perché, una volta atterrato in un box, in un luogo popolato dai suoi simili, Marco Simoncelli perdeva all’istante i tratti dell’eroe sportivo per trasformarsi in una persona ben più vicina, riconoscibile, appunto, simile a chi lo osservava, lo ascoltava. E’ questo, mi son detto e mi dico, che commuove e che tiene qui il Sic. La sensazione di avere a che fare con una ingiustizia perché, va bene tutto, ma se c’era un ragazzo da salvare, beh era quello là, lungo lungo, bravo certo, ma fragile come ciascuno di noi, come ci sentiamo noi dentro una tempesta, dentro una sfida da pista corredata da rischi e furori spaventosi. Quindi, una normalità violata, uno sproposito, una punizione che non solo pare una enormità: una cosa inaccettabile a fronte della quale possiamo compensare con una magia. Trattenendo il nostro ragazzo, il nostro cucciolo, il nostro protetto, alla faccia del destino. Non solo.

Questo ragazzo tenero che dobbiamo dare per morto, porta via un patrimonio raro. Qualcosa che non si trova facilmente nelle cronache, nelle giornate, nello sport. Del resto, abbiamo così poco verso cui guardare con un sorriso, da rendere una privazione del genere insopportabile, una sorta di punizione multipla in un tempo da carestia. E’ che abbiamo fame, non sappiamo come procurarci il cibo e quel bambino là, guarda la Madonna se sbaglio, riusciva a nutrirci come può nutrirci un figlio, ecco, giocando, inciampando e sporcandosi la t-shirt.