..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

lunedì 4 novembre 2019

Tre piste, una condanna - parte prima


Pioveva, quella mattina, a Brescia. In città si respirava il disagio dei giorni sbagliati. O forse soltanto la tensione delle grandi occasioni. 28 maggio 1974, martedì: Gianpaolo Zorzi, studente all'ultimo anno di Giurisprudenza, era a casa. D'improvviso sente, come tutti quel giorno a Brescia, il boato. Alle 10:12 il rumore di un'esplosione potente lacera un cielo grigio che sembra d'autunno. Gianpaolo esce di casa e si precipita verso Piazza della Loggia, dov'era indetto il comizio antifascista. Per strada incontra un amico, faccia stravolta: viene dalla piazza, ha assistito allo scoppio, ha visto con i suoi occhi la scena orribile dei feriti che gridano e dei morti che non si lamentano più. E' una bomba. 

Molti anni dopo, Gianpaolo Zorzi, diventato giudice istruttore presso il Tribunale di Brescia, si è trovato a dover indagare su quella strage che ha sfiorato la sua vita. Quella di Brescia è l'unica strage di cui esiste un documento sonoro: la registrazione del comizio, interrotto dal boato, a cui seguono le urla, lo smarrimento, la disperazione. Una diretta dell'orrore. Ma le tracce che sarebbero potute servire alle indagini, quelle sono state cancellate. "C'è stata una dispersione sciagurata dei reperti dell'esplosione", constata Zorzi. E' il primo buco nero delle indagini: subito dopo la conflagrazione, i vigili del fuoco sono stati chiamati dal funzionario della polizia Aniello Diamare a lavare la piazza con i getti ad alta pressione. Perché? 

La prima inchiesta, avviata subito dopo l'attentato, è condotta dal giudice istruttore Domenico Vino, affiancato dal pubblico ministero Francesco Trovato. E la prima pista battuta è quella milanese. L'attenzione del magistrato si concentra sui sanbabilini. Soprattutto Cesare Ferri. Che entra nelle indagini quasi per caso. Il 31 maggio 1974 Ferri è fermato a Milano insieme a due esponenti di Avanguardia nazionale: Alfredo Gorla e Claudio Cipelletti. I tre sono portati a Brescia. Ma tutti hanno un alibi. Ferri, per esempio, la mattina della strage era all'università Cattolica di Milano. Lo hanno visto in tanti: il professor Paolini, la biondina Daniela Rapetti seduta sui gradoni dello scalone dell'Università, Alessandro Stepanof, studente-lavoratore. 

La pista Ferri cade nel nulla. Anche perché all'inizio del 1975 il capitano Delfino porta ai giudici il bandolo di un'altra matassa da dipanare. E' una pista bresciana, questa volta. Indiziato numero uno: Ermanno Buzzi. Anche Buzzi entra nell'inchiesta quasi per caso. La prima sentenza arriva nel luglio 1979. Buzzi è condannato all'ergastolo come esecutore della strage. Dieci anni di reclusione, come complice, ad Angiolino Papa (figlio di quel Luigi che testimonierà sulla colpevolezza di Buzzi). 

L'anno dopo, mentre si attende il processo di appello, due strane lettere arrivano a Brescia. La prima, siglata A.F., è indirizzata al giudice di sorveglianza del carcere. La seconda, firmata Angelo Falsaci, è spedita a Ermanno Buzzi. Che cosa scrive il misterioso estensore delle due lettere? In sintesi: io so la verità, la strage è opera dei sanbabilini (il riferimento è a Ferri, Bernardelli e De Amici?), dunque Buzzi stia tranquillo, perché è innocente. Una rapida indagine arriva a stabilire che l'autore delle due lettere era proprio lui, Buzzi in persona. Perché aveva cominciato a mandare strani segnali? Aveva deciso di parlare, per togliersi dai guai in appello? Non lo sapremo mai. Perché Buzzi, proprio alla vigilia del processo di secondo grado che si doveva tenere a Brescia, viene trasferito dal carcere di Brescia al supercarcere di Novara. "Parto per la fatal Novara", mormora prima di lasciare la sua cella. 

Non passano 48 ore dal suo arrivo nella nuova destinazione, che Buzzi, la prima volta che esce per l'ora d'aria, viene prelevato da due killer neri, Pierluigi Concutelli e Mario Tuti, ospiti dello stesso carcere. Lo strangolano con i lacci delle scarpe, in un angolo del cortile, mentre i detenuti presenti (tra questi Nico Azzi e molti altri neri) continuano a giocare a ping-pong. E' il 13 aprile 1981. La sentenza di appello, nel marzo del 1982, assolve tutti. Un'altra strage senza colpevoli, scrivono i giornali. La Corte di Cassazione però, nel novembre 1983, annulla l'appello per alcuni degli imputati, tra cui Angiolino Papa, Marco De Amici, Nando Ferrari. Nei loro confronti il processo di secondo grado viene celebrato di nuovo nel 1985, a Venezia: è per tutti assoluzione per insufficienza di prove. 

Il 21 marzo 1984, a sorpresa, comincia il secondo atto di questa storia infinita... 

da "Piazza Fontana, il primo atto dell'ultima guerra italiana" - Gianni Barbaceto, Garzanti

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