La melassa che si riversa sopra ogni anniversario di morte sà di retorica. A distanza di diciassette anni, poi, la sua solidificazione scolpisce feste e titoli alla memoria, quest'ultima necessaria certo, ma fatta da coloro che si scagliarono contro il commemorato sà di amaro.
Quando Giovanni Falcone accettò la direzione degli Affari Penali, proposta dall'allora vicepresidente del Consiglio e Ministro di Grazia e Giustizia ad interim Claudio Martelli, un Paese intero venne messo al corrente che si era venduto al potere politico. La vicinanza con il Ministro Martelli portò ad una serie di attacchi da parte della sinistra, di Leoluca Orlando e di parte della stampa. Le allussioni non si fecero attendere. "Dovremo guardarci da due Cosa Nostra" titolava il Giornale di Napoli, "Falcone preferì insabbiare tutto" era la prima pagina dell'Unità, su "La Repubblica", in un articolo di Franco Coppola, si lesse: " Dal 1986 in avanti è calata la saracinesca sui rapporti tra politici e mafiosi e la responsabilità è da ricercare nell'accumularsi di un potere enorme in un ufficio giudiziario o in un singolo giudice; Falcone". Anche il democristiano Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, durante una puntata di "Samarcanda" (dedicata all'omicidio di Giovanni Bonsignore) si scagliò contro Falcone. "Il giudice aveva dei documenti sui delitti eccellenti di mafia, ma li teneva chiusi nei cassetti della Procura di Palermo". Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone fu costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) dallo stesso Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole "eresie, insinuazioni" e "un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario". Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che "non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo".
Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne la nomina a Superprocuratore il giorno prima della sua morte. In un'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone attestò la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."
Oggi a Napoli, in ricordo di quel drammatico giorno, il PalaPartenope ospiterà "La lotta per i diritti", manifestazione dedicata ai diritti mancanti nel nostro Paese, che dovrebbero tutelare i cittadini e la democrazia. A condurre la giornata di discussione collettiva sarà Beppe Grillo, che avrà il compito di cucire gli interventi – dialettici e artistici – di personaggi delle istituzioni, della società civile e dello spettacolo. Tra gli altri, si legge nella scaletta di presentazione all'evento, presenzieranno, in una ricorrenza che viene imbracciata elettoralmente con la sigla "per un'Europa senza pregiudizi", l'ex pm di Catanzaro Luigi de Magistris, il giudice Clementina Forleo e il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro. Quell'Italia dei valori che da anni accoglie il maggior responsabile della campagna che contribuì all’isolamento di Falcone poco prima che morisse: Leoluca Orlando. Il portavoce dell'IDV, presente nella giornata di ieri a Ragusa per la campagna elettorale delle Europee del 6 e 7 giugno, non è stato inserito tra l’antipolitica ridens di Beppe Grillo e l’antimafia piagnens di Sonia Alfano, e chissà se mai interverrà.
La sensazione, a distanza di anni, e che Falcone e Borsellino, oltre ad essere morti per il tritolo, morirebbero una seconda volta per vergogna! Vergogna di essere sepolti in un paese, come l' Italia, in cui la diffamazione è ancora oggi pane quotidiano.
pubblicato su "il legno storto"
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