..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

domenica 14 settembre 2014

A MATTER OF INCHES

Morning Gooners,
ieri dopo aver assistito ad una meravigliosa e fantastica partita, ho pensato ad Al Pacino nelle magistrali vesti di Tony D'Amato. A quel discorso nello spogliatoio di "Any Given Sunday", quello che ti fa comprendere, nella vita come nel football, che le differenze tra il vincere e il perdere sono sottilissime, quasi impercettibili. Che un centimetro in più avrebbe potuto consacrarti ed uno in meno spedirti direttamente all'inferno: "On this team, we fight for that inch. On this team, we tear ourselves and everyone else around us to pieces for that inch. We claw with our fingernails for that inch. Because we know when we add up all those inches, that's gonna make the fuckin' difference between winnin' and losin'! Between livin' and dyin'!"
E' il succo di quanto visto ieri pomeriggio all'interno dell'Emirates Stadium, un match che già da oggi sarà ricordato come uno dei più belli, spettacolari e appassionanti dell'intera stagione.
E' stato un match incredibile dal punto di vista dell'inerzia, passata più e più volte da una sponda all'altra. E' stato un match giocato a ritmi folli, dove le fasi offensive hanno messo a soqquadro ogni possibile tattica difensiva.
Ne ha goduto il pubblico, lo spettacolo, ne è uscito come unico vincitore il campionato di calcio più bello e affascinante del mondo.
L'hanno fatta da padroni i centimetri, dal primo all'ultimo secondo.
Pronti via e l'attaccare nel primo tempo tempo sotto la North Bank non mi faceva presagire nulla di buono. Noi siamo fatti un po' così, come gli equini: vietato toglierci quelle sane abitudini di quotidianità. Questo però c'ha turbato il giusto e la prima vera, colossale occasione è capitata sui piedi di Danny.
Quando il piede destro del ragazzo di Manchester (per lui un Derby vero) ha rilasciato la sfera il più sembrava fatto. Quel pallone che dolcemente scavalcava Hart si stava indirizzando dove tutti noi, con gli occhi, lo stavamo mandando. Laggiù, in quell'angolino alla destra della porta difesa dal numero uno della nazionale inglese.
Quelle mani dietro la testa che tutti noi abbiamo messo, compreso il buon Welbeck, cominciavano a narrare la storia che i novantasei minuti di Arsenal-ManchesterCity avrebbero scritto.
Centimetri. Pochi centimetri e quella palla sarebbe finita in fondo alla rete, cambiando dopo appena dieci minuti la scena del match. Pochi centimetri e l'ultimo acquisto estivo in ordine temporale, quello poco gradito dai più, avrebbe potuto presentarsi come quei sogni che si fanno ad occhi aperti quando le bocce stanno ancora ferme.
Palo. Nil to Nil. Tutto in totale parità. 
Si doveva andare avanti, non pensare più a quanto accaduto ma credere che altre occasioni sarebbero capitate.
Ma l'occasione è capitata a loro e i centimetri, ancora una volta, hanno fatto la differenza. Il contrasto perso a centrocampo da Flamini innescava sull'out di destra uno scatenato Navas. La fuga in campo aperto apriva all'ala spagnola una voragine su cui costruire la più nitida occasione da rete del primo tempo per i suoi.
Il ripiegamento dei nostri era inevitabilmente disordinato e quando la sfera giungeva sui piedi di Aguero il finale stava già scritto. Szczesny superato, palla in fondo al sacco.
Come lo scorso anno, come più volte capitato in questi ultimi anni, dovevamo inseguire nel risultato una delle squadre con cui avremmo dovuto combattere per la conquista del titolo.
La netta e roboante vittoria in Community Shield di appena un mese fa sembrava un lontano ricordo.
L'atmosfera dell'Emirates subiva un brusco cambio di umore e gli uomini di Pellegrini ne traevano immediato beneficio. La velocità nella fase offensiva dei vari Silva, Aguero e Navas continuava a mettere disordine nella nostra retroguardia (l'assenza di Chambers si faceva enormemente sentire) e pochi minuti dopo la rete del vantaggio era Silva a trovarsi a tu per tu con il nostro Szczesny.
La parata di Wes con il piede destro teneva in piedi il risultato ed i centimetri, ancora una volta pochissimi, questa volta premiavano noi.
Si rientrava negli spogliatoi con la consapevolezza di aver giocato un buon primo tempo. Di aver avuto l'occasione per sbloccare il risultato, di aver impresso, almeno fino alla mezz'ora, il gioco migliore, una maggior determinazione, quella voglia in più che a volte ti permette di fare la differenza.
Ma il risultato stava impietosamente scritto sul tabellone principale: us under, their on.
Si ricominciava con identiche formazioni (Nasri per Lampard da eccezione) e con lo stesso spirito con cui avevamo cominciato il match.
Due minuti ed eravamo già in piena area di rigore a cercare la rete del pareggio. Ozil, Wilshere, Sanchez. Pochi centimetri e si sarebbe potuto esultare. Centimetri che invece c'hanno risposto ancora una volta picche, favorendo la difesa di Pellegrini.
La fisionomia tattica dell'incontro assumeva dei connotati ben precisi. Noi a spingere e forzare, loro a difendere e ripartire. A volte già dalla nostra trequarti grazie al pressing.
In una situazione di queste la seconda palla-goal per chiudere l'incontro. Clichy per Silva, triangolo chiuso alla perfezione (ma che meraviglia di giocatore è David Silva?!!!) e il nostro ex terzino sinistro si trovava di fronte ad un monumentale Szczesny.
Sembrava fatta, per loro. Ma la grande uscita di Wes costringeva Clichy ad anticipare la conclusione.
Pallone che scavalcava si il nostro numero uno, ma per centimetri andava scemando vicino al palo sinistro della nostra porta. Qualcosa stava cambiando?
Chissà se negli spogliatoi Wenger ha usato quella terminologia divenuta "cult" grazie al discorso fatto ai propri ragazzi da Tony D'Amato: "You gotta look at the guy next to you. Look into his eyes! Now I think you're gonna see a guy who will go that inch with ya. You're gonna see a guy who will sacrifice himself for this team because he knows, when it comes down to it, you're gonna do the same for him! That's a team, gentleman! And, either we heal, now, as a team, or we will die as individuals. That's football, guys. That's all it is. Now, what are you gonna do?".
La risposta, la miglior risposta a tutto questo è arrivata da Jackie Boy. Colui che ha guardato negli occhi i propri compagni, colui che ha fatto il primo passo in sacrificio della propria squadra, colui che ha trasmesso a tutti la voglia di guadagnare terreno, risorgendo come collettivo.
Passata da pochi minuti l'ora di gioco, l'azione che ha letteralmente fatto venire giù l'Emirates. Con un arbitraggio in pieno stile "Sei Nazioni", Clattenburgh permetteva che il gioco si svolgesse senza esclusione di colpi e su questo abbiamo costruito la nostra rinascita.
Dopo un furioso batti e ribatti a centrocampo Jackie Boy usciva in verticale palla al piede. La sfera giungeva sui piedi di Ozil che innescava a sua volta Aaron Ramsey.
Wilshere ne seguiva la trama e ricevuta palla dal capitano gallese inventava un dribbling a seguire che faceva alzare ogni Gooners presente sul globo terracqueo in piedi sul divano.
Ed eccoci nuovamente li. Un nostro uomo di fronte ad Hart. Un'altra possibilità di dare un nuovo volto al match. Sul piede destro del numero 10 della nazionale la sfera della speranza.
Tiro sul primo palo a mezza altezza e palla in fondo al sacco. The game on!
Questa volta i centimetri (pochissimi) sono stati dalla nostra parte.
Il pandemonio che si scatenava non aveva precedenti, nemmeno quando in un freddo febbraio di qualche anno fa Arshavin faceva finire la sfera alle spalle di Victor Valdes.
Ora l'inerzia era tutta dalla nostra parte. Noi accompagnati dalla fiducia e dai sessanta mila presenti, loro dal fantasma di Mame Biram Diouf.
A quindici minuti dalla fine Wenger preparava due cambi: Cazorla e Chamberlain.
Due uomini che avrebbero potuto offrire quella dinamicità capace di ribaltare completamente il match. Ma ancora Wilshere permetteva che la rimonta si completasse.
Sulle ali dell'entusiasmo continuavamo a spingere, consci di avere di fronte una squadra che altro non poteva fare che chiudersi nell'angolo cercando di non prendere il colpo del KO.
Ma questo arrivava. Forte, preciso, facendo crollare al tappeto i campioni in carica.
Su di un pallone senza padrone s'avventava di testa Wilshere. Il passaggio perfetto giungeva sul piattone destro di Alexis Sanchez che chirurgicamente infilava per la seconda volta Hart.
Era l'apoteosi. Tutti impazziti uno sull'altro, tutti ad abbracciare tutti.
L'emozione prendeva immediatamente alla gola, la ragione consigliava che quei due cambi, proprio in quel momento, avrebbero fatto tutta la differenza del mondo.
Ma così non è andata. Lo scrivo non con il senno di poi, sarebbe troppo facile, ma con il pensiero che in quel momento mi camminava tra i neuroni.
Sostituire a dieci dalla fine Ramsey e Ozil per Cazorla e Chamberlain c'avrebbe permesso di portare a casa i tre punti.
E non è tanto una questione di qualità, maggiore quella di coloro che erano in campo, ma di atmosfera, di umoralità in quel preciso momento del match.
Santino e Alex avrebbero portato in campo la corsa, la velocità, il pressing, quell'andare dietro a tutto e a tutti. Avrebbero ulteriormente scatenato i sessantamila dell'Emirates grazie alla loro freschezza. E magari chissà, creato quell'occasione che avrebbe definitivamente seppellito l'incontro.
Invece con Aaron e Mesut in campo, oltretutto reduci da fastidi fisici che le rispettive nazionali gli avevano lasciato, non siamo stati più in grado di pungere, di essere pericolosi. E peggio ancora di non occupare con una certa fisicità quella zona di campo che invece è diventato terreno di conquista dei ragazzi di Pellegrini.
Ci siamo schiacciati nella nostra trequarti lasciando a loro il comando delle operazioni. Da li sono iniziati i dieci minuti più lunghi ed estenuanti di questa prima parte di torneo. Il pareggio su incornata di Demichelis arrivato a sette dalla fine ha aperto voragini mentali, e tutto ciò che fino a quel momento eravamo stati capaci di creare ha perso equilibrio.
Aaron e Mesut camminavano per il campo, Flamini doveva gioco-forza pensare a non farsi ammonire per la seconda volta, così come Monreal e Debuchy doveva abbandonare il campo per un problema al piede destro. Il solo Wilshere non poteva bastare. E infatti c'hanno pensato i centimetri e Szczesny.
Nella più totale (nostra) confusione Silva trovava in piena area di rigore Dzeko, che a botta sicura indirizzava rasoterra la sfera alla destra di Szczesny. Come o non come il nostro portierone si distendeva a terra e con la mano aperta respingeva quel pallone destinato in fondo al sacco. La palla terminava la sua corsa nei piedi di Nasri, che da pochi metri insaccava il 3-2! Ma per centimetri, pochissimi centimetri, la bandierina si alzava. Offside. Ancora tutto in parità.
Pochi istanti e toccava a Kolarov rendersi protagonista del pomeriggio londinese. Con un sinistro di rara potenza centrava in pieno il palo alla destra di Szczesny.
A quel punto, con il novantesimo ormai alle porte, il risultato di parità poteva starci bene e a loro, nonostante tutto, anche.
Ma nel recupero c'era ancora spazio per l'imponderabile. A due dalla fine era ancora Dzeko a sfruttare un pallone aereo e una fortunosa carambola. La sfera prendeva una strana traiettoria e beffardamente scavalcava un ormai mal posizionato Szczesny.
Gli occhi si stavano per chiudere. Per non vedere, per non assistere. E invece. E invece ancora una questione di centimetri ha fatto si che quel pallone andasse ad incocciare il palo, terminando la sua corsa in un rilancio liberatorio verso l'altra metà del campo.
I centimetri che beffardamente c'avevano tappato la gola sul cucchiaio di Welbeck nel primo tempo, c'avevano restituito il tutto, e con qualche spiccio d'interesse, a tempo ormai scaduto.
Svuotato di tutto ho cercato un po' di relax. Mi sentivo più stanco dei ragazzi che avevano corso per quasi cento minuti. Poi è tornata la calma e nella mente è tornato prepotente e rafforzato quel pensiero di avere una squadra ormai pronta a tutto.
Capace di non mollare veramente mai, di crederci sempre, e di avere, finalmente, anche quella dose di fortuna che nel calcio, come nella vita, serve sempre.
Ora si dovrà pensare alla trasferta di Dortmund, ad un match d'esordio da inaugurare al meglio. Si dovrà fare la conta di chi ci sarà e di chi no. Si dovranno fare delle scelte sugli uomini da mandare in campo. Ma soprattutto ci si dovrà guardare ancora una volta negli occhi, scoprendo che di fronte ci sarà un compagno disposto a tutto pur di conquistare insieme dei centimetri di campo.

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