Memoria politica e sociale (la mia) non ricorda un avvicinamento della popolazione alla classe istituzionale come quella che la mera cronaca sta raccontando (non certo i media appecorati) da sette mesi a questa parte.
Gli esempi a non finire e tutti con un unico comun denominatore: tifo da stadio con tanto di sciarpa al collo.
Succede a Salvini, in una Campania che solo cinque lustri fa non era pensabile accanto al numero uno del Carroccio.
Succede a Di Maio, in un Abruzzo commemorato dove si sono alzati in cielo i ringraziamenti per l'essere stato solo presente.
Con le europee ad un passo, con le amministrative nazionali previste in medesima data, l'occasione per convergere definitivamente nel comparto "del fare" da entrambe le rappresentanze di governo diventa rara se non unica.
Le politiche di destra e di sinistra sono definitivamente passate ad altra vita. Il cancro contratto nel periodo post Mani Pulite e che si è propagato a metastasi cancellando di fatto un intero Paese dalle carte economiche, sociali e politiche, ha estinto quella che fino a pochi mesi fa veniva ufficialmente riconosciuta come la linea universale della classe dirigente.
Nella percezione del quotidiano, tastando quei sentimenti serviti in epoche per fortuna passate ad alimentare gli interessi di pochi, la svolta è in pieno atto e le istantanee che giungono da ogni angolo del Paese lo testimoniano senza l'uso di ulteriori parole.
Rimane però il ragionamento, che porta a pensare e credere che gli opposti si attraggono per davvero, calamitando (per concezione) e convergendo (in decreti legge) i bisogni di un intero Paese.
Gli affini europei ricercati nell'ultimo periodo storico da parte di Salvini e Di Maio celano, per cultura e tradizioni, differenze che potrebbero ritorcersi anche a fronte di un contratto firmato, e allora perché non ragionare seriamente in chiave europeista (sul nazionale ci saranno urgenze e programmi che li terranno uniti per ancora molto tempo) su di una discesa in campo a due per occupare massicciamente quelle sedi pronte ormai ad ospitare un nuovo modo di fare e pensare politica?
Perché non credere definitivamente che insieme si può lavorare, e bene, per il Paese e per un'Europa che possa finalmente mettere al centro i cittadini del Vecchio Continente?
Sia Luigi Di Maio che Matteo Salvini hanno in casa, nelle stesse stanze, quei protagonisti, con in prima linea il Presidente del Consiglio, che hanno di fatto cambiato (a volte bene a volte male ma con la sana consapevolezza di provarci per davvero) il pensare ma soprattutto quel fare politica indirizzato al bene di un'intera nazione.
Pensarci, da qui a Maggio, sarebbe perlomeno cosa buona e giusta.