..."Rock won't eliminate your problems, but it will sort of let you dance all over them"

domenica 31 maggio 2009

MUGELLO: IL WARM UP

MotoGP Mugello Warm Up: Stoner il più veloce sul bagnato
La buona notizia è che adesso la pioggia ha smesso. Tutti abbozzano un sorriso, anche Casey Stoner che, sul bagnato, è risultato imprendibile, pur con qualche rischio di troppo specialmente in uscita dalla Borgo San Lorenzo. L’australiano ha fermato i cronometri sul 2′01″739, precedendo di quasi mezzo secondo Marco Melandri tornato al vertice dopo due giorni difficili sfruttando condizioni storicamente a lui molto, molto favorevoli. Va detto che Stoner sarebbe riuscito a far addirittura meglio, non fosse che all’ultimo personale giro ha incontrato proprio l’ex compagno di squadra alla Bucine, costringendolo a dosare il gas in un ingresso curva leggermente fuori traiettoria.
In classifica ritroviamo poi Chris Vermeulen, terzo confermandosi velocissimo in queste condizioni, precedendo Valentino Rossi che ha percorso 9 tornate precedendo Loris Capirossi, quinto e pronto a partire dalla prima fila dello schieramento. Sesto è invece in questo Warm Up Nicky Hayden, che sole o pioggia si prende sempre più di 1″ dal suo compagno di squadra anche se ha praticamente dimezzato lo svantaggio. E Jorge Lorenzo? Poleman del Gran Premio d’Italia, solo 13° nel Warm Up, non risultando mai velocissimo.
Stesso si può dire di Andrea Dovizioso che è decimo a precedere un malconcio Dani Pedrosa, con Alex De Angelis ottavo e Niccolò Canepa a chiudere il gruppo dopo essersi fatto notare per un traverso incontrollabile in uscita dalla Borgo San Lorenzo con la sua Desmosedici GP9. Pensando alla gara, le ultime previsioni, ebbene sì, danno pioggia…
MotoGP World Championship 2009Mugello, Classifica Warm Up
01- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - 2′01.739
02- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 0.495
03- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.656
04- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.790
05- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.927
06- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.110
07- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 1.562
08- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.667
09- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 2.141
10- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 2.331
11- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 2.457
12- Mika Kallio - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.691
13- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 2.944
14- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 3.120
15- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 3.361
16- Yuki Takahashi - Scot Racing Team - Honda RC212V - + 3.767
17- Niccolò Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 4.785
Alessio Piana

MUGELLO: LE QUALIFICHE

MotoGP Mugello Qualifiche: Jorge Lorenzo in pole position
Non mancano le gomme da qualifica, ma cosa importa. Jorge Lorenzo e altri tre protagonisti della top class hanno regalato un turno di prove cronometrate spettacolare al Mugello, con il capoclassifica di campionato autore della personale 32° pole in carriera, 6° in MotoGP, seconda stagionale e al Mugello dopo quella del 2006 nella 250. Con la Yamaha #99 il pilota iberico è riuscito a mettere insieme un bel 1′48″987, unico a scendere sotto il muro dell’1′49″ nonostante temperature elevate che, all’apparenza, non avrebbero potuto consentire tali riferimenti. Lorenzo ci è riuscito, rispondendo ad un tempone di Loris Capirossi che nel minuto conclusivo delle prove era riuscito a portare, tra lo stupore generale, in pole con l’1′49″121 ed una percorrenza alla Bucine da follia. Capirex ha dovuto lasciare la pole a Lorenzo, con Casey Stoner non in grado di batterlo per soli 21 millesimi.
E’ lotta al terzo numero dopo la virgola per definire le pole position in questa stagione, quasi sempre con Jorge Lorenzo protagonista e.. specialista del giro singolo, come storia e caratteristiche di guida ci insegnano. Per lui deve essere inoltre una soddisfazione aggiuntiva battendo Valentino Rossi, quarto in griglia a 0″161 dal compagno di squadra ma, indovinate un pò, con un bel ritmo mostrato nei primi 40 minuti di prove dove era rimasto tranquillamente al vertice. Purtroppo La pattuglia dei potenziali vincitori del GP d’Italia si ferma qui, perchè Andrea Dovizioso è solo settimo preceduto in griglia anche dalla RC212V clienti di Randy De Puniet e Colin Edwards, di poco davanti ad un Dani Pedrosa infortunatosi stamane nelle prove libere per un “sbacchettamento” eccessivo della propria Honda in uscita dalla Bucine.
Stiramento/colpo all’anca destra, piccola fattura in prossimità del femore, gara in forse ma non il cuore del catalano, capace di inventarsi un eccellente ottavo crono precedendo Toni Elias e Yuki Takahashi, ottimo decimo a chiudere la top ten. Persiste la “sindrome da qualifica” per Alex De Angelis, dodicesimo davanti a Niccolò Canepa alla miglior performance stagionale su di un tracciato dove ha fatto i solchi la scorsa stagione. Quasi scontato dire che è da dimenticare la qualifica di Nicky Hayden, penultimo con la Ducati ufficiale anche se a meno di 2″ da Stoner rispetto ai 3″ canonici: evitiamo di parlare di “progressi”.
MotoGP World Championship 2009Mugello, Classifica Qualifiche
01- Jorge Lorenzo - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - 1′48.987
02- Casey Stoner - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 0.021
03- Loris Capirossi - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 0.134
04- Valentino Rossi - Fiat Yamaha Team - Yamaha YZR M1 - + 0.161
05- Randy De Puniet - LCR Honda MotoGP - Honda RC212V - + 0.512
06- Colin Edwards - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 0.560
07- Andrea Dovizioso - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 0.661
08- Dani Pedrosa - Repsol Honda Team - Honda RC212V - + 1.086
09- Toni Elias - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.091
10- Yuki Takahashi - Scot Racing Team - Honda RC212V - + 1.318
11- Chris Vermeulen - Rizla Suzuki MotoGP - Suzuki GSV-R - + 1.418
12- Alex De Angelis - San Carlo Honda Gresini - Honda RC212V - + 1.461
13- Niccolo Canepa - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - 1.541
14- James Toseland - Monster Yamaha Tech 3 - Yamaha YZR M1 - + 1.550
15- Marco Melandri - Hayate Racing Team - Kawasaki ZX-RR - + 1.723
16- Nicky Hayden - Ducati Marlboro Team - Ducati Desmosedici GP9 - + 1.937
17- Mika Kallio - Pramac Racing - Ducati Desmosedici GP9 - + 2.021
Alessio Piana

sabato 30 maggio 2009

FATTI DI VASCO!


Roma, 29 mag. - (Ign) – 'Fatti di Vasco!' è un libro sulla storia di Vasco Rossi piuttosto atipico e per questo motivo non avrebbe trovato terreno migliore per la pubblicazione, se non su Lulu.com.

L’autore, Marco Gallico, non ha mai incontrato di persona il cantante, non si ritiene uno dei suoi più sfegatati fan, ma lo ha seguito a molti dei suoi concerti.

Marco è un semplice simpatizzante del Blasco, che ha vissuto un amore per le sue canzoni negli anni ’80 e ’90 e che è rimasto deluso da alcuni libri letti che parlavano del cantante. Partendo da '…ma cosa vuoi che sia una canzone' (1978) fino ad arrivare a 'Il mondo che vorrei' (2008), l’autore inquadra ogni canzone e i dischi realizzati da Vasco nel contesto storico e sociale nel quale sono stati prodotti. In pratica Marco Gallico, analizza i dischi del Blasco, esaminando i cambiamenti dell’uomo-artista, sempre con un occhio al personaggio.

L'autore non si limita ad osannare il cantante, ma arriva anche a criticare alcune scelte, sia artistiche che di vita, fatte dal cantante più amato dai giovani.


VASCO ROSSI SI IMPROVVISA SCRITTORE


(ANSA) - ROMA, 27 MAG - Vasco Rossi scrittore. Si intitola L'incantautore di serpenti il racconto che la rockstar ha scritto su invito di Satisfiction. La free press letteraria ideata da Gian Paolo Serino, distribuita in tutte le Feltrinelli e Fnac d'Italia. Dal 4 giugno tra gli oltre 40 collaboratori con recensioni 'soddisfatti o rimborsati' (se il lettore non e' soddisfatto dalla recensione del libro, Satisfiction lo rimborsa) e tra inediti importanti, spicca Vasco Rossi.

MUGELLO: LE LIBERE

Mugello, Libere 1: Rossi e Stoner inseguono Lorenzo
Lotta in casa Fiat Yamaha Team oggi al Mugello nel primo turno di Prove Libere valide per il Gran Premio d'Italia MotoGP 2009.
Il pilota spagnolo Jorge Lorenzo, forte del suo momento di gloria subito dopo la conquista del gradino più alto del podio appena due settimane fa a Le Mans, ha infatti preceduto il suo compagno di squadra nella classifica dei tempi girando in 1'49"870.
Lorenzo è stato l'unico pilota in grado di scendere sotto il muro dell'1'50"0, rifilando quasi 2 decimi a Rossi, seguito a sua volta dall'australiano Casey Stoner in sella alla Ducati.
Più staccato l'altro spagnolo Dani Pedrosa che chiude in quarta posizione pagando un ritardo dalla vetta di oltre 9 decimi. A seguire troviamo la prima delle Yamaha Tech 3 con in sella il texano Colin Edwards davanti alla Honda Gresini di Alex De Angelis.
Nella Top 10 anche Loris Capirossi (settimo), Randy De Puniet (ottavo) e i due italiani Andrea Dovizioso e Marco Melandri, rispettivamente in nona e decima posizione.
Solamente 15esimo, invece, Nicky Hayden con l'altra Ducati ufficiale. Il pilota statunitense paga un ritardo di oltre 2"5 da Lorenzo, chiudendo la classifica solo davanti a Takahashi e Kallio.
Da segnalare infine la caduta di Niccolò Canepa (14esimo) e il nuovo record di velocità di punta assoluta ottenuto da Pedrosa con ben 349,288 km/h.
La classifica delle Libere 1

L'AUTO DI STATO CHE PIACE AL CORRIERE

di Oscar Giannino
Nella notte Fiat ha perso. Partiti e sindacati germanici hanno fatto leva sul timore di GM di affidare Opel al suo temibile futuro concorrente Chrysler-Fiat, e dunque l’asset se lo sono aggiudicati i russi di Putin. I tedeschi consegnano a Mosca decine di migliaia di propri occupati, e se non verranno i 3 milioni di auto che vengono promesse come vendute in più sul mercato russo, allora i tedeschi chiederano sconti sul gas. Baratto mercantilista di Stato, nient’altro che questo.
La mia curiosità era vedere come i media italiani avrebbero reagito alla cosa, largamente preannunciata ormai. Va bene che ieri era gionata dedicata a Bankitalia, ma la bocciatura da riservare alla carta stampata stamane, per come “toppa” la mesta conclusione di Stato della vicenda Opel, è sonora e su tutta la linea.Sul blog posso essere chiaro, senza peli sulla lingua. Ogi si capisce bene, dove sta il nemico. Nemico intellettuale, naturalmente, lo definisco così’ con il sorriso sulle labbra, visto come siamo microbi noi ed elefante lui, senza alcuna punta di delegittimazione e di mancanza di rispetto.
Sta al Corriere della sera, il nemico. Sul ponte di comando a via Solferino. Il giornalone che aspira da sempre a dare una cultura e una spina dorsale alla borghesia produttrice lombarda e del Nord, oggi sulla vicenda Opel fa peggio che propalare una tesi sgangherata: la offre al suo lettore travestita con un’ammiccante veste di scena. Titola in prima pagina contro “l’entrata a gamba tesa dello Stato sull’auto”. Solo che nel commento di Massimo Mucchetti c’è scritto l’esatto opposto. Si dice che senza Stato e governi che avessero preso a cuore occupati e stabilimenti, col cavolo che la Fiat aveva carte da giocare per crescere. E si aggiunge che il governo tedesco andava preso più sul serio, mica è un fondo locusta. E che è stato un errore non dare più retta ai sindacati germanici. E che la colpa è del fatto che Fiat ha voluto giocare una partita fuori tempo di mercato e industriale, quando invece le sarebbe servita un solido ancoraggio a un governo a propria volta desideroso di sedersi e contare al tavolo delle nuove auto di Stato. La politica serve interessi più delicati e importanti delle presunte logiche privatistiche di chi esercita proprietà e controllo, guida manageriale e indirizzo del budget e del perimetro di attività. E’ questa la tesi del Corriere. Mucchetti più o meno l’ha sempre pensata così. Ma De Bortoli ha scelto fosse lui, a commentare in prima. E a portare la responsabilità di quel titolo falso e bislacco.
Signori industriali italiani, signori soci di Rcs presenti e aspiranti, passati e futuri, il vostro nemico è là: a via Solferino. Noi ci balocchiamo coi blog. Ma i conti di questo paludato neostatalismo, inneggiante coi vostri denari alla politica che torna a dettar legge, li pagate proprio voi, cari amici industriali. E sapete che vi dico, ridendo e scherzando: che vi sta anche bene!

venerdì 29 maggio 2009

PROCESSO CALCIOPOLI

La cronaca - NUCINI
La cronaca - GAZZONI
La cronaca - DAL CIN

PER NON DIMENTICARE MAI

La notte precedente la partita non chiusi occhio.
L'orario del treno che ci avrebbe portato nella capitale Belga era previsto alle 5 del mattino, e l'unico mio pensiero era quello di non dimenticare proprio nulla; sciarpa, maglietta "Ariston" con il numero 10 sulla schiena, bandierone donatomi un anno prima da un amico di mio padre assiduo frequentatore della curva Filadelfia.
Quando il treno si mosse dalla stazione avevo solo 13 anni (14 da compiere), e dopo la cocente sconfitta di soli 24 mesi primi ad Atene, alla quale presenziai, ero più che mai convinto che la "mia" Juventus mi avrebbe regalato la gioia più bella, nonostante i soliti "rosiconi" compagni di scuola, il giorno prima, mi avessero "augurato", nel modo più sarcastico possibile, una buona partita.
Giungemmo finalmente a Bruxelles a metà pomeriggio, e la prima tappa fu la Grand Place, immensa piazza nel centro cittadino.

giovedì 28 maggio 2009

PIANI, BUGIE E VIDEOTAPE

Tutto era cominciato con tanta voglia. “Curioso da morire”, si autodefinì Claudio Ranieri nella settimana che sanciva l’inizio del campionato, quello 2007/08, il successivo alla serie B. Talmente curioso, che il mister "da testaccio" non vedeva l’ora di confrontarsi nel super anticipo del sabato sera: il ritorno dei bianconeri in seria A contro il Livorno. Certo, bello tornare in serie A: nuovamente sotto le luci dei riflettori, nuovamente a scendere in campo in stadi prestigiosi e nuovamente a confrontarsi con le realtà che, prima dell’inizio di Calciopoli, erano le stesse che finivano regolarmente seconde e terze, e a volte anche quarte. Ma il piano quinquennale (lo ritroveremo), predisposto dalla società, prevedeva una lenta risalita, per gradi, puntando sui giovani (“il vero serbatoio del futuro”) e spendendo in maniera oculata. Ben detto! Aziendalmente parlando. Ma le cose sono andate in maniera diametralmente opposta.
Chiarito dal tecnico che la griglia di partenza si compone ricalcando la classifica dell'ultimo campionato: Inter prima, Milan secondo, Roma terza e così via, la nuova Juventus stava per cominciare un lungo cammino, che l’avrebbe portata a vincere, secondo i voleri di proprietà e dirigenza, a distanza di un lustro.
Le notizie che avevano invaso la stampa in quell’estate, davano una dimensione ben precisa alle possibilità di spesa per rinforzare la rosa bianconera, spese che, guardando i numeri nudi e crudi, erano in netta controtendenza rispetto alle parole della società; in particolar modo dell’amministratore delegato Blanc. « Dimostreremo che si può vincere senza sperperare. Questo è l’unico modo in cui può sopravvivere il calcio italiano ». D’accordo, giusto non sperperare, ma se si hanno a disposizione determinati capitali perché attendere il piano quinquennale? Fatto sta che in quella campagna acquisti furono spesi oltre 60 mln di €, una cifra che si avvicinava a quella che veniva ipoteticamente accostata all’Inter per la campagna acquisti del management di Via Durini. Eppure quell’anno, dopo la scorpacciata alla fiera del saldo di Corso Galileo Ferraris dodici mesi prima, gli indossatori di scudetti altrui spesero poco meno di 50 mln di €. Anche qui si potrebbe obbiettare, certo, d'altronde la compagine meneghina aveva appena vinto il suo secondo (?) scudetto consecutivo, la squadra, con gli innesti di Ibrahimovic, Vieira e Maicon, era già rodata con punti fermi come Cambiasso, Julio Cesar e Zanetti, ma nonostante le inutili spese (fatto consueto in quell’amministrazione) di Suazo (14 mln) e Chivu (16 mln), l’Inter si era concessa il “lusso”, almeno per un anno, di non recitare il ruolo di attrice protagonista della campagna acquisti estiva. Uno statunitense, abituato al giro di grandi cifre in "leghe" come la NBA la NFL e la NHL, avrebbe pensato: la Juventus quest’anno può vincere lo scudetto; ha mantenuto un certo numero di campioni e ha la possibilità di investire più di tutti sul mercato, perché mai attendere un piano quinquennale? Per chi capisce di calcio, quello italiano, era lampante come, nonostante l’ingente esborso, i denari, figli di un sostanzioso aumento di capitale, furono spesi malissimo: quasi 11 mln per Andrade, trentenne portoghese attualmente svincolato, con all’attivo 4 presenze in maglia bianconera; altri 9 mln per Almiron, argentino attualmente in forza alla Fiorentina e con 9 presenze in bianconero; quasi 14 mln per Tiago Mendes, portoghese che firmò un contratto quinquennale (forse faceva parte anche lui del piano), e che tutt’oggi rimane un oggetto misterioso di quello che allora fu definito il pezzo pregiato del mercato juventino. Come si concluse quel torneo è cronaca, basti pensare che con uno scarno comunicato, il 29 gennaio 2007, la società di scommesse “Snai” pagò in largo anticipo le puntate sull’Inter campione d’Italia, a quattro mesi dal termine del torneo; fatto mai verificato in Italia a manifestazione ancora in corso.
Terminato il torneo con la Juventus terza, e qualificata per la Champion, ci si rituffò nella mattanza del calciomercato, stagione 2008/09. Nonostante la società bianconera, in questa circostanza, spese meno dell’Inter (40 e rotti mln di € spesi dalla società bianconera contro i circa 50 mln di € dei neroazzurri), il deja-vu non si fece attendere: Poulsen, acquistato per 9,75 mln di €; Amauri per oltre 22 mln di €. Due coetanei di quasi trent’anni che il grande calcio lo avevano visto solo in televisione. Ad est di Torino le cose non andavano tanto meglio, se pensiamo che con l’avvento di Mourinho il patron neroazzurro mise mano al portafogli per acquistare la meteora Quaresma (più di 18 mln), l’oramai sfruttato Mancini (13 mln) e il promettente ma discontinuo, Mountari (quasi 16 mln). Due campagne acquisti molto simili (nella spesa), ma con una grande differenza: l’Inter continuava a schierare Ibrahimovic. Come è terminato anche questo torneo basta nuovamente consultare la cronaca: quarto scudetto consecutivo per l’Inter.
Ora proviamo a fare qualche conteggio e andiamo a verificare a che punto sta il “piano quinquennale”. Nelle due stagioni post serie B, la società Juventus, quella in cui si doveva dimostrare di poter vincere senza sperperare, ha investito oltre i 100 mln di €, a differenza di un’Inter due volte campione che ne ha investiti circa 90. Gli acquisti, per importanza economica, hanno interessato principalmente 5 giocatori, con un esborso pari a 66 mln di €. Di questi, attualmente in forza, ne sono rimasti tre, due dei quali si possono ritenere sul mercato, con il solo Amauri, nonostante le trenta primavere, a recitare il ruolo di colpo riuscito (22 mln il suo cartellino). Volete che facciamo il conteggio delle minus valenze in soli 36 mesi? A partire dallo svincolato Andrade all’offerta del Siviglia, che per riprendersi Poulsen verserebbe nelle casse della Juventus la bellezza di 5 mln di €? Allora andiamo avanti. Nel periodo pre-“piano quinquennale”, nell’anno di serie B, la “voglia” della proprietà di tornare subito tra le grandi ha portato la scelta di puntare sulla guida tecnica di Didier Deschamps. L’ottimo campionato disputato (e ci mancherebbe) ha riportato la Juventus in serie A, anche grazie al lavoro di spogliatoio dell’ex centrocampista bianconero. Ma al momento di proseguire un discorso a lungo termine (“torneremo a vincere tra 5 anni”), l’ex capitano dei blues ha deciso di andare via, per incompatibilità di programmi. Sostituito da Claudio Ranieri è ricominciata la solfa della “squadra simpatica” (la Juve), di un “sorriso per tutti” (ma proprio tutti) e via citando, tutti pronti a mettere le mani avanti con la morale di essere dei neofiti del torneo (?). Dopo nemmeno due stagioni (la precisione di 74 gare di campionato) è terminata anche l’avventura del tecnico romano, esonerato e sostituito da Ciro Ferrara, traghettatore per le due ultime gare del torneo 2008/09.
Le voci di mercato su presunti grandi nomi vestiti con maglietta bianconera, trovano spazio anche in questo inizio estate 2009: da Diego a Lavezzi, da Pandev a Quagliarella. Con tanto di eventuali partenze: Trezeguet il nome più gettonato. E una domanda sporge spontanea: ma questo “piano quinquennale”, a prescindere dalla enorme quantità di denari buttati, a bidoni in “bidoni”, e due cambi in corsa della guida tecnica, pagata per costruire uno spogliatoio ed un gioco, in realtà, a cosa mirerebbe? Anche perché, e parliamo di calcio, come fa una squadra smembrata interamente nell’estate del 2006, e “rinforzata” con elementi che messi tutti insieme non raggiungerebbero le presenze di Tavola e Storgato, a tornare a vincere tra una stagione?
Chi è stato acquistato non ha lasciato il segno, tranne che nel bilancio, negativo, e oggi non fa già più parte del progetto; chi doveva dare un gioco è fuori dai giochi, esonerato e con la ritorsione dei legali che hanno intentato di portare la società in tribunale; le vecchie glorie, chi più, chi meno, hanno raggiunto la fine dell’attività agonistica, e non solo; il progetto giovani (ricordate?), sostanzialmente, non è mai partito, visto che sono stati loro, i giovani, a partire. Oggi assistiamo inerti davanti ad un cumulo di macerie che fanno il paio a quelle dell’estate 2006, increduli, e impauriti, nell’ascoltare una proprietà che continua a garantire vicinanza alla squadra.
Verosimilmente la prossima stagione, salvo cataclismi, vedrà nuovamente primeggiare i dipendenti di Via Durini, guidati da tale Josè “thespecialone” Mourinho, e rinforzati dall’inserimento in rosa dei principali artefici della cavalcata straordinaria del Genoa di Gasperini: Thiago Motta e Milito. E, con altrettanta probabilità, dall’innesto in difesa di Ricardo Alberto Silveira Carvalho, trentenne difensore centrale portoghese, campione d’Europa con il Porto di Mourinho, che lo volle fortemente al Chelsea quando ne era l’allenatore. Una sicurezza da inserire in ogni reparto, per garantire la quinta (?) stagione consecutiva ai vertici. E la Juventus? I bianconeri, come da “piano quinquennale”, avranno l’ultima stagione da transitare da perdente, condita dall'ossimoro di stagione: “per lo scudetto ci siamo anche noi, ma dobbiamo mantenere il terzo posto”.
Sembrerà strano, è vero, ma tutto questo mi porta a chiedermi: sarà più redditizio vincere uno scudetto, oppure vendere una quantità importante di materiale dove gli scudetti (magari 5 consecutivi) li vincono gli altri?
Proposta: visti i “consigli” statunitensi di far acquisire alla Fiat il marchio Chrysler, potrebbero farsi venire in mente di comprare anche il marchio Barcelona.
La Juventus ci metterebbe la maglia e le tecnologie (stadio nuovo), loro, come gli americani, soldi e manodopera.
Forse con Messi, Henry ed Eto’o, il piano quinquennale sarebbe più fattibile.

IL PROCESSO DEI "SI DICE"

DAL CIN
Si è detto incapace di affermare se c'era, nel concreto, un gruppo di potere - identificato in Moggi e Giraudo - e che le sue dichiarazioni si sono sempre basate sul “si dice”. Tiene ad affermare lo stesso sugli errori arbitrali, ricordando che ogni interpretazione è spesso soggettiva.
Quando gli viene chiesto del rapporto Fabiani-Moggi, risponde: « Fabiani era amico di Moggi. Ma non è che se uno è amico di Moggi è colpevole».
Prioreschi, difensore di Moggi, ricorda che ancora una volta si stanno formulando tesi accusatorie sulla base di congetture e sensazioni, anziché sui fatti concreti. Dal Cin gli da ragione, aggiungendo di non avere notizie dettagliate, « questo potere io l'ho subito, ma se mi chiedete di provarlo… ».
Ricordando la gara tra Messina e Venezia, Dal Cin dice di non aver accolto bene la designazione dell'arbitro Palanca e che più presidenti lo avevano avvisato, sempre sulla base di “sensazioni”. Preoccupato, telefona al designatore Pairetto, chiedendo ed ottenendo delle rassicurazioni. Ammette che i suoi giocatori erano scesi in campo già tesi e prevenuti, così come ammette che le espulsioni erano sacrosante e l'atteggiamento dei suoi giocatori “deprecabile”.
Geremicca, legale di Bergamo, ricorda al tribunale che Dal Cin è stato condannato a 4 mesi di reclusione per frode sportiva. Dal Cin chiede l'acquisizione delle sue memorie difensive in merito.
Prioreschi, per Moggi, viste le precedenti dichiarazioni del teste Carbone, gli chiede se lo conosce. Qui il PM fa opposizione, ricordando che si tratta del teste dell'accusa. Opposizione accolta.
Bonatti, per Pairetto, conclude con una semplice domanda: «il Messina era quindi una squadra scarsa? », Dal Cin è costretto ad ammettere, visti i risultati sportivi, che non lo era.
NUCINI
Nucini passa almeno un paio d'ore a dire che si considerava bravissimo, che non c'è mai stata meritocrazia e che ha sempre avuto pessimi rapporti con tutti i designatori e il mondo arbitrale in generale.
Curioso il suo rinvangare l'episodio in cui non prese alcun provvedimento verso una concitata protesta di Di Biagio (Inter) e che, anzi, lo pregò di non levarsi anche la maglietta altrimenti sarebbe stato costretto ad ammonirlo.
Visti i rapporti con Facchetti, risalenti al '97, è una situazione quanto meno dubbia.
Stanco di questi continui “soprusi” che è convinto di aver subito, dopo Juve-Chievo decise di cominciare a redigere un report contenente tutti gli errori arbitrali favorevoli - anche indirettamente - e contrari alla Juventus, comprensivi di valutazione degli osservatori, per provare che chi arbitrava a favore della Juve restava in A e chi no andava ad arbitrare in B.
Ricorda che, dopo Inter-Udinese, Facchetti entrò negli spogliatoi e lo vide contestare il commissario di gara. Il giorno successivo Facchetti gli telefonò chiedendo ragguagli e da allora cominciarono a frequentarsi con continuità.
In un'occasione, Nucini si recò da Facchetti per parlare di questa assenza di meritocrazia e per mostrargli il suo “report”. Sempre secondo Nucini, Facchetti all'inizio era incredulo, ma poi si convinse e decise che bisognava andare a fondo.
Così Nucini cercò di infiltrarsi in questa presunta combriccola e contattò per primo l'arbitro De Santis, considerato - sempre sul “si dice” - uno che aveva rapporti privilegiati con la commissione. Su suggerimento di Facchetti, Nucini, durante una cena tra colleghi, fece il nome di Fabiani e notò una «reazione furiosa» di Racalbuto. Il giorno successivo, De Santis chiede a Nucini di accompagnarlo agli allenamenti e, durante il tragitto, ne approfitta per chiedere ragguagli sui motivi che lo spingevano a chiedere di Fabiani. De Santis, convintosi della bontà di Nucini, confessò che Fabiani era suo amico da tempo, nonché ex collega presso un carcere minorile.
Nucini, ancora una volta, corre a riferire tutto dal suo amico Facchetti, che si incuriosì.
Successivamente, dopo il match Cosenza-Triestina, Fabiani, allora ds della Triestina, gli si parò davanti in aeroporto, consegnandogli alcuni numeri di telefono. Il tono della conversazione fu amichevole e Fabiani promise a Nucini che avrebbe provveduto a sistemare il commissario qualora gli avesse affibbiato un voto basso, perché l'arbitraggio era stato di suo gradimento (la Triestina aveva perso, difficile non leggerci una battuta).
Dopo giorni, o settimane, non si sa, Nucini ricevette una telefonata da Fabiani per un incontro a Bergamo. Nucini sollecitò Facchetti.
Si incontrano, bevono qualcosa in un bar e poi si accomodano nel mezzo di Fabiani. Qui Fabiani gli garantisce che il “suo uomo” avrebbe pensato a tutto e che presto sarebbe tornato ad arbitrare in Serie A. Così scopriamo che il capo-cupola Moggi era addirittura uomo di Fabiani! Nella stessa occasione, glielo passa al telefono.
Nella stagione successiva, Nucini contestò aspramente un osservatore della CAN, a seguito di questo evento ricevette una telefonata da Fabiani: “non preoccuparti, non fare casini, ci penso io”.
Lui gli diede retta, non fece “casini”, ma venne ugualmente punito. Alla faccia dell'influenza!
A un certo punto, Fabiani porta Nucini all'hotel Concord di Torino e, dentro una delle stanze, incontra Luciano Moggi. Moggi si sarebbe mostrato amichevole e, davanti al Nucini, telefona ai designatori dicendo che quell'arbitro andava valorizzato. Moggi va via e Fabiani consegna una SIM della TIM a Nucini. SIM che, viste le continue contraddizioni in cui cade il teste, non si capisce se è stata utilizzata o se è stata gettata subito. Al ritorno, telefona a Facchetti per poi dirigersi verso l'abitazione dello stesso.
Dopo questo incontro, qualcuno “vicino all'Inter” (Moratti? Ghelfi?) consiglia a Facchetti di mandare Nucini dalla Bocassini. Non avrebbe avuto al suo fianco l'Inter, che aveva timore di un coinvolgimento, e - in solitaria - Nucini si presenta dalla Bocassini ma non ne viene fuori nulla.
Ricordando poi il presunto potere della Fazi all'interno della commissione, dice testualmente:
«Se non potevo sopportare che un uomo qualsiasi mi mandasse in Serie A, figuriamoci se potevo sopportarlo da una donna!», frase che avrà reso contenta la Casoria.
Prioreschi, per Moggi, chiede se sia normale, per un arbitro, avere questo tipo di rapporti con un dirigente sportivo. Nucini ammette che non è normale né permesso.
Trofino, per Moggi, fa mettere a verbale uno dei tanti articoli di giornale che criticavano, già nel titolo, l'operato di Nucini in Juve-Bologna e chiede, ironicamente, se anche il Corriere della Sera, come tutti gli altri quotidiani, facessero parte del gruppo di potere.
Bonatti, per Pairetto, chiede a Nucini se avesse portato con se del materiale in occasione della deposizione rilasciata ai Carabinieri. Nucini dice di essersi recato lì a mani vuote, l'avvocato fa notare che vi sono sovrapposizioni speculari rispetto a quanto dichiarato presso l'ufficio indagini. Insomma, un copia-incolla, con qualche piccola aggiunta, in cui però restano nelle medesime posizioni persino le virgole.
Ed anche l'attendibilità di questo teste è andata a farsi benedire.
GAZZONI FRASCARA
Comincia col citare il rapporto che lega la sua famiglia a quella degli Agnelli. Dalla morte dei due fratelli, sostiene, i rapporti con Moggi e Giraudo si erano raffreddati.
Il PM gli chiede dell'influenza del Moggi e della GEA sull'ingaggio degli allenatori e Gazzoni ricorda di quando intendeva assumere Zeman e, conoscendo i dissidi con la Juventus, chiese consiglio a Giraudo ottenendo un «è proprio necessario?» che interpretò come un no.
Di Bologna-Juve ricorda che vide la partita in compagnia di Lapo Elkann e che in occasione del gol, su punizione, di Pavel Nedved, Lapo gli disse: «Giuseppe, mi dispiace vincere in questo modo».
Anche Gazzoni specifica di riferirsi a dei “si dice” e di non poter dire che ci fu un complotto contro il Bologna, sa solo che il Bologna venne colpito, non si sa da chi, né perché né per come.
Come con Dal Cin, anche in questo caso è stato fatto presente che il signor Gazzoni ha delle condanne alle spalle e dei procedimenti in corso. Per le fidejussioni della Reggina, che secondo l'accusa era in orbita Juve, Prioreschi ricorda che lo stesso Gazzoni aveva dichiarato che la fidejussione era stata rilasciata dalla Sanremo Assicurazioni, il cui agente, da quanto dichiarato, era un certo Giacinto Facchetti, tutt'altro che amico della Juve.
In seguito verrà anche rinfrescata la memoria sulle sentenze stabilenti che non c'era nulla di irregolare in quelle fidejussioni.
A questo punto i legali chiedono l'interruzione dell'udienza, dopo 7 ore di dibattimento e l'aria condizionata fuori uso. La Casoria si chiede nuovamente quanto durerà questo processo e il PM comunica la lista dei prossimi testimoni:
16 giugno: Galati, Aliberti, Paparesta, Canovi, Baldini
26 giugno: De Cillis, Bertolini e la ricostruzioni tabulati dei Carabinieri
Seguirà la cronaca, per esteso, dei vari interrogatori nei prossimi giorni

mercoledì 27 maggio 2009

QUESTIONE DI STILE: STILE JUVENTUS!

Umberto Agnelli: Losanna, 1º novembre 1934 – Torino, 27 maggio 2004
La Juventus è un modo di essere, di esprimersi e di emozionarsi, vivere insieme a tanti altri la stessa passione per il calcio, possibilmente per il bel calcio. Una passione che ha unito e unisce persone di città, condizioni sociali, fedi politiche diversissime... Ieri in Italia, oggi in tutto il mondo” (U.Agnelli).
Il primo incarico alla Juventus lo assunse a 21 anni, l’8 novembre del 1955, come commissario per poi diventarne presidente l’anno successivo.
Amore per la “Signora” condiviso da sempre con l’Avvocato, forse con tifo meno passionale, ma improntato più ad una visione manageriale, dal controllo di bilancio ai progetti immobiliari.
Lasciò la presidenza nel 1962, anno in cui la Juventus finì dodicesima in campionato, rischiando la retrocessione.
Nel '58 ottenne la presidenza della Federcalcio ed una delle prime decisioni prese fu quella di creare un segno distintivo per la squadra che avesse vinto 10 scudetti: la famosa stella.
Tornò nel calcio nel '94 e con lui arrivarono Giraudo, Moggi e Bettega.
Credo che l'unica colpa che abbiamo, che ci si possa addebitare, sia quella di vincere. Di colpe reali penso che la Juve non ne abbia più di altri. In altri termini, non troverei alcuna accusa reale da farci, se non quella di vincere”.
31/12/2000. Umberto Agnelli, avvertendo un clima di rancore eccessivo, sprona l’ambiente affinché l’atteggiamento della gente torni ad essere positivo.
E’ sorprendente come, a distanza di anni, molte sue dichiarazioni siano attuali e di una forza che oggi sembra solo un miraggio.
Certo, la colpa della Juventus è stata quella di essere vincente e il vero dramma quello di non aver avuto un “uomo” capace di difenderla ed amarla nel momento del bisogno. Questione di stile: stile Juventus!
La ricetta del Dottor Umberto è sempre la stessa: cambio del gruppo dirigenziale, nuovi talenti ed inizio di un ciclo di vittorie.
Fu così nel 1955, quando fece arrivare a Torino John Charles e Omar Sivori, che portarono le vittorie nei campionati del '58/59, '59/60 e '60/61 e fu così nel 1994 con la Juventus vincente di Lippi e della Triade.
La sua prima esperienza portò la Juventus a conquistare la prima stella, la sua ultima gestione avrebbe sicuramente regalato la terza stella.
Nel 1961 lasciò la guida della Federcalcio, investito dalle polemiche dopo la ripetizione della famosa partita con l’Inter che, data vinta a tavolino per invasione di campo in un primo momento alla squadra nerazzurra, la Caf fece ripetere tra le proteste. L’Inter scese in campo con la Primavera e la Juventus vinse la partita per 9 a 1.
Nel 1962, lasciò la Presidenza della Juventus dopo una stagione fallimentare ed è interessante ricordare le sue parole: "Abbiamo sbagliato tutti, però mi sento profondamente deluso dal comportamento dei giocatori nel finale di campionato. Non era mai successo che una squadra della Juventus si lasciasse andare così, senza reagire".Anche oggi la Juventus è in difficoltà e quel TUTTI non esiste più.
La costante presenza, la responsabilità, la capacità di fare un passo indietro per il bene della Juve, sanno di passato: il presente è omologato ad un piano senza cuore.
Questione di stile: stile Juventus!
Ricordo anche un’altra “anomalia”, che ha sicuramente alimentato ancora di più l’invia di tutto lo sport italiano. Nel disastrato panorama calcistico con debiti di bilancio, la Juventus di Umberto Agnelli ha sempre mantenuto un alto profilo dovuto alla sua oculata gestione. Competenza tecnica accompagnata da una gestione del calcio come "business", funzionale in ogni settore e all'avanguardia.
Questione di stile: stile Juventus!
E’ sicuramente un ricordo da tifosa, di chi si è avvicinata alla Juve anche grazie a colui che ha saputo renderla così “importante”.
Rimango ogni volta affascinata nel ripercorrere la storia bianconera, da sempre accompagnata dal carisma e dalla passione di chi l’ha amata così tanto.Invidiata e vincente, difesa e sorretta: l’impronta juventina degli Agnelli rimane la storia della Signora.
Perché, la Juventus è stata, è e sarà sempre una squadra di calcio. Ed è un piacere immenso ricordare che tutto "il meglio" del calcio è passato dalla Juve, rivedere le tante partite "storiche" per rivivere, così, l'emozione di quegli attimi”.
E' un piacere ricordare quella Juventus e l'emozione di quegli attimi, che appartengono a tutti noi. La stessa emozione che speriamo di rivivere e condividere tutti insieme, vedendo cucita sulle nostre maglie la terza stella, magari dalle mani di un Agnelli. La nuova versione post 2006 ha solo cercato di svilire il passato, non accorgendosi di non condividere nemmeno il presente con la propria tifoseria.
Questione di stile: stile Juventus!

lunedì 25 maggio 2009

SENZA GUANTI

Gli Usa cambiano uomini e strategia
In Afghanistan arriva un generale americano senza guanti di velluto
Strategia nuova, capo nuovo. Ha applicato questo semplice principio il segretario alla Difesa americano Gates, mandando a casa il comandante di ISAF generale David McKiernan e sostituendolo con il generale Stanley McChrystal. Gates ha spiegato che con l'inizio di una nuova strategia in Afghanistan era anche necessario avere «una nuova leadership militare». «Era il momento giusto per un cambio di leadership», ha affermato Gates rifiutando di indicare motivi specifici per la rimozione del generale. La notizia è clamorosa perché McKiernan era in carica da meno di 11 mesi. Il Washington Post ha scomodato addirittura la Storia facendo un parallelo con la vicenda del generale MacArthur, dimissionato dal presidente Truman durante la conduzione della guerra di Corea per quel complesso di protagonismo che, in alcune occasioni, porta i generali ad andare al di là del proprio ruolo, spingendosi su un terreno di competenza esclusiva della politica. Le colpe di McKiernan sono altre. Il comandante di ISAF non si è contraddistinto per sconfinamenti politici, ma ha pagato in ogni caso l’insoddisfacente andamento della guerra in Afghanistan – che negli ultimi due anni ha visto l’aumento esponenziale dell’insicurezza e delle violenze in tutto il Paese – e, forse, il raid aereo di Bala Baluk con la strage di oltre 100 civili.
Fatto sta che il pragmatico Gates ha deciso che fosse giunta la sua ora. Al posto di McKiernan arriva il generale Stanley McChrystal, uno specialista dei conflitti asimmetrici e delle operazioni di counter-insurgency. Il suo curriculum parla per lui. Uscito da West Point nel 1976, McChristal ha passato una vita tra parà della 82ª divisione aerotrasportata e Rangers, le forze speciali dell’US Army. Uomini da sempre abituati a fare la guerra senza guanti di velluto. Il 1° gennaio 2001 è stato nominato generale, grado con il quale è tornato all’82°, come vicecomandante, e poi al vertice del 18° Corpo Aerotrasportato, in qualità di capo di stato maggiore. Fino alla nomina definitiva alla guida del Comando Interforze Forze Speciali. Organismo diretto dal 2003 al 2008. Durante questo periodo, McChristal ha colto grandi successi come l’arresto di Saddam Hussein e l’uccisione di Zarqawi – dirigendo sul campo gli uomini della segretissima Task Force 6-26 – l’unità speciale composta da Delta Force, Navy Seal, ST6 (Seal Team Six), Rangers e paramilitari della CIA, creata per dare la caccia a terroristi e baathisti in Iraq – ma ha subito anche molte critiche per i metodi non ortodossi usati dai “suoi” uomini sul campo, accusati di non andare troppo per il sottile con i prigionieri e in diversi finiti sotto inchiesta per lo scandalo di Abu Ghraib.
Tant’è. Il segretario Gates non è tipo che si fa condizionare. La situazione che si è venuta a creare in Afghanistan non consente di indulgere troppo in formalismi e l’esperienza di un uomo del calibro di McChristal potrebbe tornare utilissima per risollevare le sorti di un conflitto trasformatosi in un pantano. Finora l’approccio adottato per rintuzzare i talebani – basato su una presenza militare concentrata in grandi compound dai quali si esce solo per andare a cercare il nemico e pattugliare – non ha dato risultati lasciando di fatto troppo terreno alle iniziative ed al mordi e fuggi talebano. Adesso, appunto, si cambia. Il generale Petraues, dall’alto della sua posizione di comandante del Comando Centrale Americano, il comando responsabile per tutte le operazioni in Medio Oriente e Asia Meridionale, ha chiesto di invertire la rotta e puntare tutto su una strategia non convenzionale. Più presenza nei villaggi, più basi avanzate e nel complesso più azioni condotte da piccole unità dotate di alta mobilità/trasportabilità e potenza di fuoco. Qualcosa di molto simile a quanto già fatto dalla stesso Petraeus in Iraq. Ma per imprimere la giusta spinta ad una sterzata del genere occorreva uno specialista del settore e non un ufficiale come il generale McKiernan: un tradizionalista con una carriera tutta all’insegna del comando di unità corazzate e meccanizzate. Ecco allora spiegata la nomina dell’altro “Mc”, McChristal. Il generale senza guanti di velluto.

UN CURRICULUM ATIPICO

Vasco e il lavoro, un binomio solo apparentemente anomalo, come si evince dal suo "curriculum atipico". Ma poi il nesso si è materializzato, e alla grande, davanti alla platea del concerto del Primo maggio, i ragazzi in Piazza San Giovanni e quella ben più ampia dei 5,5 milioni di telespettatori a casa.
"Non vedo un bel clima in giro. La crisi economica e, soprattutto, la difficoltà per molti di arrivare a fine mese. Ma anche le conquiste di libertà e convivenza civili, faticosamente raggiunte negli ultimi decenni, sono rimesse in discussione, addirittura a rischio di annullamento. Non tira una bella aria e non è certo il mondo che vorrei." Vasco Rossi aveva annunciato la sua presenza al concerto del, organizzato come ogni anno da Cgill- Cils e Uil, con una lettera ai giornali in cui ne spiegava le motivazioni. Dando il via, anche, con una donazione di 100.000 euro, alla raccolta fondi per l'assegnazione di borse di studio destinate agli orfani dei morti sul lavoro. Ma alle domande ha preferito rispondere con calma, qualche giorno dopo il concerto, ponderando le parole e scrivendo le risposte di suo pugno. Eccole.
Quanti lavori ha fatto prima di diventare Vasco?
Mi sono sempre dato da fare. Mentre ancora studiavo alle superiori e poi all'università, durante l'estate mi davo da fare. Ho fatto molti lavori stagionali. L'aiuto fornaio, il raccoglitore di ciliegie, il sorvegliante notturno, il manovale, il facchino, il supplente, ho montato anche mobili per un mobilificio.
Il lavoro più gratificante e il più avvilente
Quello più avvilente fu lavorare tre mesi come garzone per dei pigri geometri catastali. Quello più gratificante il dj.
E' stato supplente di applicazioni tecniche alla scuola media di Zocca, le piaceva insegnare?
Mi piaceva molto ma non riuscivo a tenere a freno gli adolescenti. Insegnare è una "missione" cui bisogna essere portati.
Si era iscritto prima ad Economia e commercio e poi a Pedagogia. Quando ha lasciato le mancavano otto esami; che lavoro pensava di fare, a quel tempo, se le fosse andata male nella musica?
Il dj o il vj. Ma avrei fatto anche il camionista.
A quanti anni è riuscito a mantenersi da solo?
Fin dai tempi del liceo non volevo pesare troppo sull'economia famigliare per cui accettavo tutti i lavori possibili e immaginabili per mantenere la mia indipendenza economica, che ho raggiunto in maniera totale a 23 anni quando lavoravo come deejay.
Il primo cachet
Nel primo locale di Sorbolo, non ricordo bene, ma allo "Snoopy's Dream" di Modena lavoravo tutte le sere per 900 mila lire al mese.
Titolo di studio
Diploma di ragioniere conseguito a Bologna nel 1972
Laurea honoris causa in "Scienze della comunicazione" allo IULM di Milano, 2005
Lingue straniere conosciute
Conosco un po' il francese e un po' l'inglese… ma dovrei applicarmi di più!
Sulla carta di identità alla voce professione c'è scritto
Artista
La parola "lavoro" cosa le fa venire in mente?
Sudore

VENTI DISCHI DI PLATINO

Una serie di record per "Il mondo che Vorrei", ultimo disco del Blasco. Un successo anche per la versione blu ray. E' da poco on air il nuovo singolo "Colpa del Whisky".
Vasco Rossi, 20 volte platino con Il mondo che vorrei CD e DVD live. Ancora una volta è lui, il rocker più acclamato, a smuovere il mercato della musica con cifre di vendita significative e, soprattutto, trainanti per il mondo discografico e per quello della musica dal vivo. A 14 mesi dalla pubblicazione de "Il mondo che vorrei" sono una dimostrazione lampante i dati che emergono dalle classifiche ufficiali che trovano Vasco sempre ai vertici: da 60 settimane nella Top50 dei CD; 9 posti su 10 per il numero di paganti ai suoi concerti, secondo i dati SIAE del 2008; da 10 settimane al N. 1 della classifica di vendite con il DVD Il mondo che vorrei live.
Cifre eccezionali per il DVD che in poco più di 2 mesi ha realizzato una vendita di 200.000 copie di cui 20.000 solo per la versione blu ray che rappresentano la vittoria di una sfida e un record per il supporto video più nuovo in Europa. In radio da pochi giorni con Colpa del whisky, la canzone che ci accompagnerà per tutta l’estate è la più alta nuova entrata nelle charts radiofoniche. E’ il quinto singolo tratto da Il mondo che vorrei che, dopo la straordinaria partecipazione di Vasco al Concertone del 1 Maggio a Roma, assume oggi anche un particolare significato di un’oasi di speranza e di musica.

domenica 24 maggio 2009

SENZA DI TE SARA' DIVERSO

E' stato il protagonista di sfide leggendarie, aihmè, per noi bianconeri, anche il capitano dei rossoneri nella finale di Manchester. Non ha mai alzato troppo la voce, lui giocava in campo.
Da avversario non è mai stato visto come qualcuno da odiare (sportivamente), anzi, quando si andava a San Siro (in tempi in cui si scendeva in campo per vincere) la speranza era quella che fosse in campo, per batterlo, da sportivi. Anche in quel 6-1 lui c'era.
Tra sette giorni vestirà per l'ultima volta la maglia numero 3 del Milan, indosserà per l'ultima volta la fascia da capitano, disputerà la sua partita numero 902, rigorosamente in rossonero.
Oggi in molti, troppi, lo hanno ricordato così, io preferisco ricordarlo così.
Grazie campione.

CON UN PO' DI ROSSETTO

I giornali americani, tutti, sostengono di non aver mai visto il presidente Barack Obama così sulla difensiva come giovedì mattina, quando è stato frettolosamente costretto a parlare al paese sulla sicurezza nazionale e sulla guerra al terrorismo per fronteggiare la rivolta interna della Cia causata dalla pubblicazione dei memo sugli interrogatori, il voto quasi unanime del Senato (90 a 6) contro la sua richiesta dei fondi per chiudere Guantanamo, la delusione dei gruppi dei diritti civili che senza giri di parole lo accusano di seguire la stessa politica di George W. Bush. Ma è stato soprattutto il discorso di Dick Cheney in difesa delle scelte antiterrorismo degli ultimi sette anni a mostrare la prima vera debolezza del nuovo presidente, costretto a difendersi anche dall’accusa di mettere a rischio la sicurezza degli Stati Uniti.
Il presidente se l’è cavata benissimo, malgrado l’inciampo iniziale sul nome del capo del Pentagono, Bob Gates, che ha chiamato William, come il fondatore di Microsoft. La sua risposta preventiva a Cheney è stata epica e grandiosa, capace di conciliare stato di diritto e stato di guerra, rispetto della Costituzione e pugno duro contro i terroristi, ma per la prima volta sembra che Obama sia sceso dal piedistallo.
Il compito non è facile e anche la sua abilità retorica è messa a dura prova. Nella lunga campagna del 2007 e del 2008, Obama è stato il candidato pacifista, quello alla sinistra di Hillary Clinton. A poco a poco si è spostato su posizioni più moderate e pragmatiche, sempre però avvolte da una patina progressista a uso degli adoranti giornalisti al seguito. Una volta alla Casa Bianca si è trovato alle prese con la necessità di mantenere le promesse al suo elettorato e le responsabilità da comandante in capo. Il risultato è una serie di grandi pronunciamenti ideali per sottolineare la distanza rispetto alla precedente amministrazione, seguita da decisioni incoerenti e simili a quelle di Bush.
Cheney ha definito questo tentativo di mediazione tra interessi contrapposti come mezze misure che rendono il paese sicuro a metà, mentre l’editorialista Charles Krauthammer ha sintetizzato sul Washington Post la faticaccia cui è quotidianamente costretto Obama: “E’ il suo solito schema in tre mosse: a) condannare la politica di Bush, b) svelare ostentatamente qualche cambiamento estetico, c) adottare la politica di Bush”.Il caso più eclatante è proprio quello del discorso di giovedì. Obama ha ribadito che Guantanamo andrà chiuso e si è appellato ai valori dello stato di diritto, ma nel concreto ha spiegato che per i detenuti non cambierà nulla rispetto a prima. Alcuni prigionieri saranno rilasciati, altri trasferiti in carceri europei (sempre che qualcuno li accetti), una manciata sarà processata nei tribunali federali americani, come è successo in un paio di casi anche negli anni di Bush, mentre tutti gli altri saranno processati con le commissioni militari create dalla precedente amministrazione e a cui Obama si era opposto oppure, e sono la metà dei rinchiusi di Guantanamo, non saranno affatto processati perché è impossibile e quindi resteranno prigionieri a tempo indeterminato. Cioè, esattamente il motivo per cui è stato creato Guantanamo.
C’è di peggio ...continua
di Christian Rocca

sabato 23 maggio 2009

LA DIFESA DI OBAMA

New York.
Prima il presidente, poi l’ex vicepresidente. Uno dietro l’altro, in diretta tv, ieri mattina Barack Obama e Dick Cheney si sono confrontati, sia pure indirettamente, sulla sicurezza nazionale e la guerra al terrorismo islamico, il giorno dopo l’arresto a New York di quattro musulmani americani, di origine araba e haitiana, che avrebbero voluto far saltare in aria due sinagoghe nel Bronx e abbattere con missili Stinger aerei militari nella base di Newburgh.
Obama, con abile mossa mediatica, ha anticipato il già programmato intervento di Cheney anche per spiegare ai suoi stessi colleghi di partito, alquanto rumorosi ultimamente, la strategia per sconfiggere al Qaida (“siamo in guerra”) e proteggere la sicurezza degli americani, di recente apparsa incoerente e contraddittoria.
Cheney gli ha augurato di avere successo, ma ha sottolineato la pericolosità dell’idea, secondo lui diffusa tra gli obamiani, che le critiche ricevute da sinistra su alcune decisioni e le critiche provenienti da destra su altre scelte significhino che l’Amministrazione ha trovato un buon compromesso: “Mezze misure – ha detto Cheney – vuol dire mezza sicurezza”.
Lo stile dei due non poteva essere più diverso. Obama era perfetto, eloquente, cinematografico. Il teleprompter lo ha aiutato a recitare la sua “nuova direzione rispetto agli otto anni precedenti”, più che a elencare una serie di provvedimenti che, nella sostanza, non sono molto diversi da quelli presi da Bush. Cheney, invece, leggeva i fogli, teneva lo sguardo basso, aveva il fiatone ed è stato costretto a interrompersi più volte per tossire o per bere poco elegantemente dalla bottiglia. Nonostante i modi dimessi e la voce anonima, Cheney è riuscito ad assestare colpi contro il “falso moralismo”, contro il New York Times, contro tutti quelli che dimenticano come l’11 settembre abbia cambiato politiche, prospettive e priorità di chi sta alla Casa Bianca. “Rifarei tutto quello che ho fatto”, ha detto Cheney, sottolineando che le torture “non sono mai state permesse” e che quei metodi di interrogatorio erano giusti, legittimi ed efficaci, come riconoscono la Cia e il capo dell’intelligence di Obama, perché usati solo in casi estremi, su pochi terroristi, e perché hanno sventato una serie di attacchi. Obama ha diffuso “mezze verità”, ha detto Cheney, con i memo sul “modo in cui ponevamo le domande”, privi delle parti che svelavano le risposte ottenute.
Obama ha raccontato come la sua preoccupazione principale sia ...continua
di Christian Rocca

UN GIORNO CHE NON SARA' MAI UN GIORNO QUALUNQUE

La melassa che si riversa sopra ogni anniversario di morte sà di retorica. A distanza di diciassette anni, poi, la sua solidificazione scolpisce feste e titoli alla memoria, quest'ultima necessaria certo, ma fatta da coloro che si scagliarono contro il commemorato sà di amaro.
Quando Giovanni Falcone accettò la direzione degli Affari Penali, proposta dall'allora vicepresidente del Consiglio e Ministro di Grazia e Giustizia ad interim Claudio Martelli, un Paese intero venne messo al corrente che si era venduto al potere politico. La vicinanza con il Ministro Martelli portò ad una serie di attacchi da parte della sinistra, di Leoluca Orlando e di parte della stampa. Le allussioni non si fecero attendere. "Dovremo guardarci da due Cosa Nostra" titolava il Giornale di Napoli, "Falcone preferì insabbiare tutto" era la prima pagina dell'Unità, su "La Repubblica", in un articolo di Franco Coppola, si lesse: " Dal 1986 in avanti è calata la saracinesca sui rapporti tra politici e mafiosi e la responsabilità è da ricercare nell'accumularsi di un potere enorme in un ufficio giudiziario o in un singolo giudice; Falcone". Anche il democristiano Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, durante una puntata di "Samarcanda" (dedicata all'omicidio di Giovanni Bonsignore) si scagliò contro Falcone. "Il giudice aveva dei documenti sui delitti eccellenti di mafia, ma li teneva chiusi nei cassetti della Procura di Palermo". Il 15 ottobre 1991 Giovanni Falcone fu costretto a difendersi davanti al CSM in seguito all'esposto presentato il mese prima (l'11 settembre) dallo stesso Orlando. L'esposto contro Falcone era il punto di arrivo della serie di accuse mosse da Orlando al magistrato palermitano, il quale ribatté ancora alle accuse definendole "eresie, insinuazioni" e "un modo di far politica attraverso il sistema giudiziario". Sempre davanti al CSM Falcone, commentando il clima di sospetto creatosi a Palermo, affermò che "non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, è l’anticamera del khomeinismo".
Sostenuto da Martelli, Falcone rispose sempre con lucidità di analisi e limpidezza di argomentazioni, intravedendo, presumibilmente, che il coronamento della propria esperienza professionale avrebbe definito nuovi e più efficaci strumenti al servizio dello Stato. Eppure, nonostante la sua determinazione, egli fu sempre più solo all'interno delle istituzioni, condizione questa che prefigurerà tristemente la sua fine. Emblematicamente, Falcone ottenne la nomina a Superprocuratore il giorno prima della sua morte. In un'intervista rilasciata a Marcelle Padovani per "Cose di Cosa Nostra", Falcone attestò la sua stessa profezia: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."
Oggi a Napoli, in ricordo di quel drammatico giorno, il PalaPartenope ospiterà "La lotta per i diritti", manifestazione dedicata ai diritti mancanti nel nostro Paese, che dovrebbero tutelare i cittadini e la democrazia. A condurre la giornata di discussione collettiva sarà Beppe Grillo, che avrà il compito di cucire gli interventi – dialettici e artistici – di personaggi delle istituzioni, della società civile e dello spettacolo. Tra gli altri, si legge nella scaletta di presentazione all'evento, presenzieranno, in una ricorrenza che viene imbracciata elettoralmente con la sigla "per un'Europa senza pregiudizi", l'ex pm di Catanzaro Luigi de Magistris, il giudice Clementina Forleo e il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro. Quell'Italia dei valori che da anni accoglie il maggior responsabile della campagna che contribuì all’isolamento di Falcone poco prima che morisse: Leoluca Orlando. Il portavoce dell'IDV, presente nella giornata di ieri a Ragusa per la campagna elettorale delle Europee del 6 e 7 giugno, non è stato inserito tra l’antipolitica ridens di Beppe Grillo e l’antimafia piagnens di Sonia Alfano, e chissà se mai interverrà.
La sensazione, a distanza di anni, e che Falcone e Borsellino, oltre ad essere morti per il tritolo, morirebbero una seconda volta per vergogna! Vergogna di essere sepolti in un paese, come l' Italia, in cui la diffamazione è ancora oggi pane quotidiano.
pubblicato su "il legno storto"

T'IMMAGINI LA FACCIA CHE FAREBBERO...

Nell'estate del 2006, quella dello scandalo e dei mondiali vinti sotto il cielo di Berlino, l'allora Ministro delle politiche giovanili Giovanna Melandri, sull'onda nazional-popolare che prima aveva sommariamente giustiziato la Juventus e che successivamente si genuflesse all'inizio della nuova era del mondo del pallone, dichiarò che il calcio italiano era impegnato in due partite: una sul campo, con gli azzurri al mondiale, e l'altra fuori, con una squadra guidata dal commissario straordinario Guido Rossi. “Sono due partite che vogliamo tenere distinte – aggiunse l'ex Ministro - ma impegniamoci tutti a voltar pagina” . Con il senno di poi è facile poter dire che l'impegno non mancò, soprattutto nella partita più importante, quella lontana da telecamere ed occhi indiscreti. Alle parole seguirono i fatti.

venerdì 22 maggio 2009

TOCCHERA' INDEBITARVI ANCHE CON LA GAIG

Parliamoci chiaro: a Blanc, John Elkann e compagnia cantante non importava nulla del secondo o terzo posto, così come non interessava vincere la Champions, o il mercato sarebbe stato diverso e anche l'allenatore. A loro quest'anno importava di quella che per noi juventini è da sempre considerata una “coppetta”, ovvero il trofeo appena portato a casa dalla Lazio (decimo posto traballante e 17 sconfitte subite in campionato).
A giocarsi la Supercoppa Italiana saranno, come sempre, la vincitrice dello scudetto e quella della “coppetta”; gli arguti dirigenti avevano deciso di puntare, su input dell'azionista di maggioranza, proprio su quest'ultima. Il motivo è, come confermò il poi ripudiato De Meo, di continuare a sfruttare la simpatica e ridimensionata Juventus per fare cassa con FIAT.
L'incontro si disputerà a Pechino, in Cina, il primo mercato mondiale per l'auto. Marchionne era già pronto ad aprire uno stabilimento lì, dove General Motors e Volkswagen la fanno da padrona, utilissimo sarebbe stato portarci la Juve, magari - per una volta - col marchio FIAT sulle maglie, anziché la meno attraente e sconosciuta ai più: New Holland.

giovedì 21 maggio 2009

OBAMA AVVENTURISTA

Un progetto avventurista, e per di più, vecchio di 50 anni: questo è il minimo che si possa dire delle linee strategiche dei piani di Obama per la soluzione della crisi israelo-palestinese che stamane hanno dilagato sui giornali israeliani. Il cuore della proposta è sconcertante: lo Stato palestinese dovrebbe essere privo di forze armate, mentre Gerusalemme, dovrebbe passare sotto la sovranità delle Nazioni Unite. Vi sono poi altre idee –non male quella di un risarcimento economico a carico della Ue e degli Usa per i milioni di profughi- ma questi due capisaldi hanno dell’incredibile perché dimostrano una totale mancanza di rapporto con la realtà. La proposta di disarmo dello Stato palestinese è infatti a dir poco pazzotica, perché cade nel momento in cui Israele continua a consegnare alle forze di sicurezza della Anp camionate e camionate di armi leggere e medie, che sono indispensabili ad Abu Mazen per mantenere un controllo della West Bank, in cui Hamas è assolutamente ben radicata. La proposta, dunque, non ha senso, perché il problema della sicurezza di Israele è tutto nell’opzione terroristica e stragista che fino al 2005 è stata condivisa dalla Anp di Arafat, che poi, con un ritardo trentennale è stata recisa finalmente da Abu Mazen, ma che è ancora tutta operante in Hamas che peraltro continua a suoi lanci di razzi su Sderot. Un quadro contorto, da cui emerge con chiarezza un incredibile, assurda, assenza negli scenari su cuoi ragiona Obama: il conflitto interpalestinese. Pure, ieri, questa si è di nuovo cristallizzata in due governi l’un contro l’altro armati –e non è una metafora- con Salem Fayyed a Ramallah e Ismail Hanyeh a Gaza, mentre lo stesso ASbu Mazen –ma la notizia è stata ignorata dai media- ha accusato Hamas di avere usato decine di ambulanze per trasportare armi a Gaza. Ma Obama tace sul conflitto sanguinario che dal 2005 ha fatto centinaia di vittime, palestinesi massacrati da palestinesi. Obama tace, sul fallimento di 2 anni di trattative per una pacificazione tra Anp e Hamas, e i suoi progetti “nuovi” hanno la ruggine di decenni e decenni fa. Proporre oggi agli ebrei, così come ai musulmani, di rinunciare alla sovranità su Gerusalemme vuol dire tornare alla astrattezza del progetto di spartizione dell’Onu del 1947 (che questo prevedeva) e ignorare che questa opzione è semplicemente impossibile e inaccettabile per gli uni, come per gli altri. Infine, ma non per ultimo, Obama tace su un punto fondamentale a cui si lega la questione dei profughi, che non è solo “tecnica” o territoriale. Pure, Netanyhau glielo ha ricordato: sino ad oggi, la trattativa tentata da Ehud Olmert con Abu Mazen si è arenata su un punto, il rifiuto del presidente palestinese di riconoscere il carattare di “Stato ebraico” di Israele.
Questa, si badi bene, è la dicitura della risoluzione 187 dell’Onu del 1947 ...continua
di Carlo Panella

CI SONO PROCESSI PIU' SERI

Teresa Casoria, la presidente-donna della giuria di donne di Calciopoli, sta seduta sul suo scranno dell’aula della nona sezione che celebra la prima udienza vera del processo a Moggi e altri 23: interrogano l’ex gola profonda del Calcioscommesse 1986 Armando Carbone, poi il padre di Gianluca Paparesta, Romeo, quello che prende dalle mani di Moggi a via Petrarca il telefonino con sim svizzera che incardina il procedimento a Napoli. Ma quando alla fine dell’udienza con avvocati e pm si discute sul fitto calendario delle udienze fissato fino a fine 2009 si fa scappare una frase di quelle pesanti.
Dicono no all’udienza del 29 dicembre, i legali. E lei: «In questa sezione abbiamo anche processi più seri da portare avanti». Poi cerca la correzione, mentre gli avvocati sorridono e i pm masticano amaro: «Nel senso che abbiamo pendenti casi con gente agli arresti…»
Ma la frase resta lì al termine di un’udienza iniziale che parte con i fuochi d’artificio del Carbone che dice tutto e il contrario di tutto, che parla di inghippi e intrallazzi da Torino-Hajduk e Juve-Aston Villa fino all’ingaggio di Ferrara («lo ha portato alla Juve la Gea…», ma Ciro s’è trasferito nel 1994 quando i rampolli della Gea facevano il liceo), che confonde date e fatti, opinioni e letture di giornali, che dentro il sistema Moggi ci mette tutti.
Se la prende coi giudici Marabotto e Laudi, fino a dire (manco la questura di Torino fosse il Cile) che ai tempi del calcio scommesse venne arrestato e tenuto in guardiola per 41 giorni. «Vabbe, abbiamo inquadrato il personaggio», dice la presidente Casoria.
Paparesta senior parla dei suoi telefonini moggiani. Romeo riferisce di un Moggi che ai tempi degli incontri che dovevano favorire una sua scalata (abortita) ai vertici Aia era «ossessionato da quella che lui chiamava la cupola del calcio, le squadre romane e soprattutto le milanesi. Moggi temeva che questo potere potesse vanificare il lavoro fatto alla Juventus». Poi rivela come Lucianone si lamentasse del fatto che gli “amici” Pairetto e Bergamo non riuscissero ad aiutarlo. Moggi chiederà proprio a Paparesta senior di segnalargli storture del mondo arbitrale in quella annata diciamo… inquieta. Con quei telefonini con schede svizzere nei quali ci sono registrati i numeri Luciano1 e Luciano2, Fabiano1 e Fabiano2 (Mariani ex dg Messina e uomo di fiducia per anni di Moggi).
Poi i passaggi successivi al famoso Reggina-Juve. Sostiene Romeo che avesse invitato il figlio a chiamare col telefonino svizzero Moggi per censurare l’ex dg Juve dopo la nottata del Granillo. Chiude con un’ammissione sul figlio: «Gianluca commise un errore a non refertare l’accaduto». Ce ne siamo accorti. Singolare che tra le rappresaglie su Gianluca ci fosse una sospensione tecnica dopo la finale di Coppa Italia 2004, Juve-Lazio, vinta dai biancocelesti: stop di due mesi… Ma il campionato era praticamente finito. Il processo prosegue, anche senza imputati “ristretti” in vincoli: martedì prossimo udienza da 20 ore… Saranno interrogati Franco Baldini (nel caso Gea venne controinterrogato per quattro ore…), poi Dal Cin, l’agente Canovi, l’ex gola profonda della Figc, Galati, l’impiegato Juve Bertolini incaricato di comprare le schede a Chiasso dal signor De Cillis (anche lui tra i testi di martedì), Nucini, Aliberti, Gazzoni Frascara. Poi udienze a pioggia. In attesa che giunga qualche ribaltone sulla questione di fondo del processo, cioè le intercettazioni telefoniche: si lavora alla trascrizione e si cercano le chiamate di altri dirigenti di club ai designatori. Telefonate di cui nell’indagine parlava anche Bergamo in interrogatorio (ma anche nelle sue chiamate con la mitica impiegata Figc, Fazi).

mercoledì 20 maggio 2009

TAVOLINI, TELEVISIONI E POLTRONE

Alle 22:30 di sabato 16 maggio 2009, l’Inter si è aggiudicata il suo diciassettesimo scudetto: il quarto, dicono, di fila. La notizia clamorosa, però, è stata la modalità: non è nemmeno scesa in campo. La riprenderemo.
In quest’ultimo periodo i milioni di telespettatori che seguono il “pianeta” calcio, si sono visti spalmare fino alle ultime due giornate di campionato (escluse), il solito palinsesto calcistico stagionale: due anticipi il sabato, sei gare pomeridiane e il posticipo serale la domenica. La Lega Calcio ha così reso noto, come da regolamento, che “solo” nelle ultime due giornate si giocheranno, con orario di inizio alle 15:00, tutte le gare in contemporanea. Se pensavano di fare una genialata hanno preso in pieno un palo, ma la risposta va ricercata altrove.
Si è potuto apprendere, attraverso le fonti di stampa, il bilancio della società sportiva Calcio Napoli; così paragonato: stagione 2007/08, quella da neopromossa; stagione 2006/07, l’anno precedente in serie B. Il dato che impressiona maggiormente è quello del fatturato: più che raddoppiato, da 41,4 a 88 milioni di euro. Ma è interessante verificare nello specifico come si sia raggiunto un simile risultato.

martedì 19 maggio 2009

DIMENSIONI NAZIONAL-POPOLARI

La notizia non è che, secondo Xavier Zanetti, il 5 maggio 2002 non doveva esistere, anche perché è falsa, semmai è questa: "non capisco invece quanti pensano e dicono che Calciopoli non sia mai esistita: è stato uno scandalo di dimensioni mondiali, come si fa a negarlo?"
La prima notizia è falsa perché il 5 maggio è esistito, eccome, e anche se tale Cobolli Gigli (presidente bianconero), sostiene che lui del 5 maggio ricorda solamente l'ode a Napoleone Bonaparte, tutti noi ricordiamo quella domenica come un cerchio che si chiuse dopo la "pallanuotistica" gara di Perugia.
Dopo di che, leggere ancora oggi, a distanza di sette anni, che il capitano degli indossatori di scudetti altrui lamenta un rigore non dato ai danni di Ronaldo nella sfida contro il Chievo Verona, e che quella partita sarebbe dovuta andare in altro modo (?), rientra a pieno titolo nella cultura lacrimosa dei dipendenti di via Durini, e di conseguenza la prendo per quella che è: frustrazione da eterno perdente.
Ma entriamo nella notizia.
Zanetti, purtroppo, non è un’eccezione: è dalla metà degli anni novanta (non a caso dall’inizio dei trionfi juventini) che è invalso l’uso d’eleggere l'ex dirigenza bianconera come il male del calcio italiano, vale a dire, ma questo si scoprirà nel tempo, una sorta i banda di truffatori.
In questo modo si sancirono due principi: a. la Juventus vinceva perchè rubava; b. la dirigenza bianconera muoveva i fili dell'intero sistema calcio.
Due cattivi esempi, in un colpo solo, che vennero immediatamente sposati dall'opinione pubblica, vestita a festa con ogni sorta di colore, tranne quello bianconero, sponda Corso Galileo Ferraris.
Ora entriamo nel cuore del discorso espresso dal capitano degli indossatori: “Mi pare che la lettura dei fatti sia oggettiva: chi ha voluto capire, ha capito”.
Zanetti dice, da uomo di sport, che mano a mano che veniva fuori la sostanza della vicenda ha provato delusione e tristezza, sostenendo come tutta l'Italia abbia provato vergogna per la dimensione mondiale raggiunta da uno scandalo che ha macchiato l'immagine del calcio italiano.
Tesi affascinante, per chi ha trovato appiglio all'unico modo per giustificare il proprio fallimento sportivo, ma che non stupisce, visto che si trattò di una sentenza che cancellò la migliore dirigenza degli ultimi cinquant'anni, quella che prevedeva un calcio con i conti in ordine.
Immorale della favola: ieri si sono congratulati tutti, perché le vittorie sul campo non hanno valore in un Paese di invidiosi, perdenti e poveri di spirito sportivo.
Nessuno avverte la lunga lacerazione che il calcio italiano si sta portando dietro da tre anni a questa parte, perché pochi ci guadagnano ed i più non hanno gli strumenti culturali per capire quel che succede e soprattutto quel che successe.
Il mondo del calcio s’è storto, in Italia, senza risparmiare la Giustizia che avrebbe dovuto difenderlo.

L'EBREZZA DI RUOTARE

Da oramai tre anni c'è una nuova Juventus che s’è specializzata nel sostenere cose indicibili, che suppone siano nella mente di molti tifosi. Se c’è una cosa di cui nessuno, tranne gli "elkaniani", sente il bisogno è di vedere ai posti di comando coloro che non hanno difeso la storia bianconera nell'estate del 2006. Semmai, da allora, s’avverte l’urgenza di vederli vendere e renderli responsabili nei confronti di milioni di appassionati.
Capita che, volendo salvare l'insalvabile, si liberi la fantasia e se ne facciano di ogni tipo, vendendo miele appiccicoso agli appassionati, con scelte strategiche modello "risiko". Prendo in esame un solo punto, quello più recente: l'esonero di Ranieri.
Secondo i pensatoi, le carriere degli allenatori, all'interno della propria società, non andrebbero programmate, com’è in realtà dovrebbe essere, ma sostituite a seconda del momento, ruotando a giorni alterni il nome di chi cambierà le cose, nel momento che qualcuno è ancora alle redini. Una via di mezzo fra la cretinata allo stato puro e l’imitazione dell'allenatore nel pallone.
Abbiamo bisogno di una struttura societaria altamente professionalizzata, e non si può pensare di affidare per tre anni la Juventus ad un signore che poi si accompagna alla porta, per mettere al suo posto un collega che magari uno come Diego non lo vuole. Chi dice di queste cose si divide in due categorie: a. gli incompetenti, ovvero quelli che nonostante abbiano potuto spendere a dismisura, si sono convinti che gli altri vincevano rubando; b. i coerenti, che fecero fuori la storia della Juventus, ed ora vorrebbero che nessuno si cominci a domandare il perché.
Gli stessi sostenevano: i bilanci si faranno alla fine della stagio­ne, ora che ognuno faccia il proprio dovere. Ma se i bilanci si dovevano fare a fine stagione, che senso ha esonerare a distanza di quarant'anni (Luis Carniglia )il secondo allenatore della storia bianconera?
Significa che in questo nuovo calcio, anche in Corso Galileo Ferraris, taluni giungeranno dove altrimenti non sarebbero mai potuti arrivare, con perdita di tempo e denaro. Salvo poi ruotare.
Proposta: ruotino loro, provino l’ebbrezza di passare qualche anno, anche pochi, a distanza, magari lasciando quella società (la nostra passione) in mano a chi, con molta probabilità, oltre ad essere competente, la ama.

domenica 17 maggio 2009

LE MANS: LA PIOGGIA

Ha vinto la pioggia. In tutte le classi.

IL NOSTRO GRIDO

In onda a partire dal 17 maggio su Rete 7 Piemonte oppure canale 846 di Sky.

Le trasmissioni attualmente interessate sono "Studio e stadio" a partire dalle 14 e "Punto e a Capo" dalle ore 19,20.

LUI NASCONDE, LA SINISTRA LO AFFONDA

Andrew Sullivan, su The Atlantic, parla di «Obama, neocon in chief». Per Jennifer Loven, di Talking Points Memo, si tratta di una «caduta all’indietro verso il bushismo». Secondo Joan McCarter, di DailyKos, è un «voltafaccia sgradevole e probabilmente inutile». E Jane Hamsher, fondatrice di Fire Dog Lake, confida a Chris Cilizza di The Fix (il blog di retroscena politici del Washington Post), che «fin dall’inizio del suo mandato, Barack Obama ha dimostrato un notevole desiderio di occultare i crimini dell’amministrazione Bush, in generale, e i metodi di tortura voluti da Bush, in particolare».
L’ondata di sdegno che attraversa la rive gauche della blogosfera statunitense è univoca e senza appello: la marcia indietro di Obama sulla pubblicazione delle fotografie sui «duri interrogatori di detenuti all’estero» (promessa dall’amministrazione democratica lo scorso 23 aprile) è un atto di codardia politica, nel migliore dei casi, o una dimostrazione di complicità con i crimini bushiani, secondo i commentatori più progressive.
Senza contare la durissima reazione della stessa Aclu (American Civil Liberties Union), dalle cui battaglie nei tribunali basate sul Freedom of Information Act era partita anche la diffusione dei memorandum della Cia sul waterboarding. Per il direttore esecutivo dell’Aclu, Anthony D. Romero, «l’amministrazione Obama ha adottato le stesse tattiche ostruzionistiche e le stesse politiche opache dell’amministrazione Bush», a dispetto delle dichiarazioni pubbliche del presidente sulla necessità di «ripristinare il rispetto della legge e rianimare la statura morale del nostro governo nel mondo». «Se l’amministrazione Obama proseguirà su questa strada – conclude Romero in un comunicato di fuoco pubblicato sul sito internet dell’Aclu che si è diffuso come un virus nei blog della sinistra – non tradirà soltanto le promesse fatte al popolo americano, ma anche i principi fondamentali su cui è stata costruita la nostra nazione».
A fare da contrappeso a questa furia liberal contro la decisione di Obama, sono naturalmente i media vicini al partito repubblicano e al movimento conservatore, che da settimane chiedevano al presidente di ripensarci, per non mettere inutilmente a rischio la vita di soldati americani in scenari di guerra. Il Weekly Standard, per firma di Bill Kristol e di Michael Goldfarb, esprime il proprio appoggio alla Casa Bianca per la seconda volta in due giorni (il primo “apprezzamento” era stato riservato alla scelta di sostituire David McKiernan con Stanley McChrystal al comando delle truppe Usa in Afghanistan). Una mossa che era stata salutata con estremo favore anche da un commentatore anti-obamiano di ferro, come Max Boot in un editoriale scritto per il Los Angeles Times.
Più che l’appoggio di neocon e conservatori in genere, però, a Obama farà molto comodo il consenso crescente che la sua mossa è destinata a garantirgli negli ambienti militari, soprattutto alla vigilia della surge in Afghanistan. Non è un mistero, infatti, che il presidente sia stato spinto a cambiare idea soprattutto dal suo segretario alla Difesa, Bob Gates, che a sua volta è stato convinto dalla “lobbying” incessante di alcuni generali di altissimo livello: il capo dei Joint Chiefs of Staff, Mike Mullen; il comandante Centcom, David Petreus; l’ex comandante delle truppe in Afghanistan, David McKiernan; e soprattutto l’attuale comandante in capo nel fronte iracheno, David Odierno.
David Ignatius, sul Washington Post, si chiede addirittura se la marcia indietro di Obama non possa essere considerata come il suo momento “Sister Souljah”. Ignatius si riferisce alle dure critiche espresse da Bill Clinton, durante la campagna elettorale del 1992, nei confronti di alcuni commenti razzisti (contro i “bianchi”) espressi da una celebre cantante rap dell’epoca (Sister Souljah, appunto, nome d’arte di Lisa Williamson). Con la sua presa di posizione, Clinton si alienò una buona parte dell’ala più estrema del suo partito, ma guadagnò anche quella solida reputazione “centrista” che contribuì non poco alla sua doppia vittoria alle presidenziali. Forse Obama sta proprio cercando di replicare questa strategia.

sabato 16 maggio 2009

LE MANS: LE QUALIFICHE

Lo stato di forma di Dani Pedrosa continua a migliorare di gara in gara e oggi il pilota del team Repsol Honda lo ha dimostrato ancora una volta con una straordinaria prova di forza nell'unico turno di qualifiche ufficiali valide per il GP di Francia.
Sulla pista di Le Mans, Pedrosa ha infatti ottenuto la prima Pole Position stagionale girando in 1'33"974, appena 5 millesimi meglio del connazionale rivale Jorge Lorenzo, su Yamaha. Vicinissimo alla coppia di testa anche Casey Stoner, quasi certo di partire dal palo domani, salvo poi veder sfumare questa possibilità proprio allo sventolare della bandiera a scacchi.
Solamente quarto Valentino Rossi, seguito da Andrea Dovizioso e dall'altra M1 guidata da Colin Edwards.
In settima ed ottava posizione troviamo invece le due Suzuki di Vermeulen e Capirossi, con Melandri e De Puniet a completare la Top 10.

LE MANS: LE LIBERE

Le Mans, Libere 1: Dovizioso e Stoner davanti a tutti
Prima ora di prove libere oggi a Le Mans con un Andrea Dovizioso in grande spolvero autore del giro più veloce pochi istanti prima dell'arrivo della pioggia prevista per questo fine settimana sul circuito francese.
Per il pilota italiano si tratta del migliore risultato ufficiale da quando corre in MotoGP, anche se deve guardarsi le spalle dall'ex campione del mondo della Ducati, Casey Stoner, staccato di appena 58 millesimi.
Bene anche l'altra Honda guidata dal francese Randy De Puniet, autore del terzo miglior tempo davanti alla prima delle Suzuki con in sella l'australiano Chris Vermeulen.
A 3 decimi di ritardo troviamo invece Dani Pedrosa con l'altra Honda HRC. Dietro di lui si classifica la coppia del Fiat Yamaha Team con Valentino Rossi davanti al compagno di squadra Jorge Lorenzo.Completano la Top 10 la Kawasaki di Marco Melandri (ottavo), la Suzuki di Capirossi e la M1 del team Tech 3 affidata a Colin Edwards.
La classifica delle Libere 1
Le Mans, Libere 2: La Yamaha torna in testa con Edwards
Migliorano i tempi e cambia la classifica a Le Mans, questa mattina con il texano Colin Edwards davanti a tutti.
Il pilota del Monster Yamaha Tech 3 è stato l'unico a scendere sotto il muro dell'1'35"0 facendo registrare il suo miglior tempo in 1'34"996. 4 decimi abbondanti lo separano dal trenino dietro di lui capitanato da Pedrosa, davanti a Lorenzo e Stoner per pochissimi centesimi.
Scivola invece in quinta posizione Andrea Dovizioso che ieri ha ottenuto il miglior tempo al termine del primo turno di prove libere.
Dietro di lui si classificano le due Suzuki di Chris Vermeulen e Loris Capirossi, con De Puniet, Toseland e Marco Melandri a completare la Top 10.Chi, rispetto a ieri, ha migliorato di poco il proprio tempo è stato il campione in carica Valentino Rossi, solo 11esimo questa mattina con un ritardo di oltre 1"5 dal tempo di Edwards.
Da segnalare infine le due cadute di Mika Kallio e Sete Gibernau. Quest'ultimo è stato portato immediatamente alla Clinica Mobile dove gli è stata diagnosticata la frattura della clavicola sinistra in due punti. Ovviamente il pilota del Grupo Francisco Hernando salterà il Gran Premio francese e in giornata verrà portato a Barcellona per ulteriori accertamenti ed una probabile operazione.

venerdì 15 maggio 2009

PER UN PUGNO DI EURO

La Juventus ha presentato ricorso, presso l'Alta Corte di giustizia del Coni, dopo la conferma in appello della sentenza del Giudice Sportivo che imponeva ai bianconeri un turno a porte chiuse nelle gare di campionato, dopo la vicenda dei cori contro Mario Balotelli nel match casalingo del 18 aprile con l'Inter. E per chi è juventino questa è già di per sé una notizia. Se poi si pensa che il ricorso, questa volta, non è stato ritirato e che, l'Alta Corte di Giustizia, composta dal Presidente dott. Riccardo Chieppa, e dai componenti, dott. Alberto De Roberto e prof. Roberto Pardolesi, ha sospeso l'esecuzione della decisione impugnata fino al 15 maggio 2009, fissando l'udienza per l'esame della sospensiva e del merito al 14 maggio 2009 e disponendo la comunicazione della presente ordinanza alle parti tramite i loro difensori, non può non tornare alla mente qualcosa che non andò esattamente così.

mercoledì 13 maggio 2009

THE ORGASMIC

“Amo l’odore del Napalm al mattino”
Il generale Stanley McChrystal, scelto da Obama per guidare la guerra in Afghanistan, è uno così tosto ed efficace nel condurre le operazioni militari e antiterrorismo da provocare "orgasmi" tra i suoi sostenitori.
(dal libro The War Within di Bob Woodwad)
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Lieutenant General Stanley McChrystal, the commander of the Joint Special Opera tions Command (JSOC) responsible for hunting al Qaeda in Iraq, employed what he called “collaborative warfare,” using every tool available simultaneously, from signals intercepts to human intelligence and other methods, that allowed lightning-quick and sometimes concurrent operations. Derek Harvey, the DIA intelligence expert and adviser to Petraeus, said privately that the operations were so effective that they gave him “orgasms.”