Ci sono domande alle quali non puoi rispondere. Non puoi, ti è impossibile. Umanamente impraticabile. “Come è stato il concerto di Vasco di ieri a Torino? Mi han detto che pioveva…”. L’unica risposta che ti viene è la ripetizione della domanda “Come è stato il concerto di Vasco a Torino. Sì, pioveva…certo è un dato oggettivamente sensibile, ma non è questo… dammi una settimana. Perché così non si può, non è…..una settimana”.
A costo di sembrare un po’ stralunato, io il 10 giungo ho risposto così, perché il rischio era quello di mettere in fila una serie di aggettivi superlativi, di iperboli letterarie, di eccessi formali. E’ facile dire “concerto”. Ce ne sono decine tutti i giorni! Ma quello che abbiamo vissuto è stato un’altra cosa. Non ventiquattro canzoni, il preludio o l’intermezzo.
Si tratta di raccontare una storia. L’attesa, il viaggio, i trent’anni vissuti “assieme”, gli ultimi due in bilico sul quel crinale al confine. C’è la propria carne, l’intreccio di emozioni e paure, della gioia che esplode. Poi c’è quello stadio, con la bellezza infinita delle facce, una diversa dall’altra. Quella ragazza disabile, su una carrozzina che sembrava un lettino d’ospedale, e viene da pensare a lei, alla sua fatica e alla sua felicità. E pensi che ognuno avrà una sua storia personale da raccontare, emozioni sfuggite al controllo e sorrisi esplosi d’incanto. Così ricomponi un “noi” che non sarà mai più vero altrove, ma lì era talmente reale da lasciar senza fiato.
E poi, c’è di mezzo il cuore, il respiro affannato, i battiti, il groviglio di pulsazioni, c’è di mezzo quell’anima che citi pur con il pudore del non credente. Eri al concerto di Vasco, con Vasco. Punto. È come se da lì non puoi schiodarti. Come se non possano esserci altre parole. Poi sì, pioveva. Pioveva a dirotto. Ci siamo lavati, noi e Vasco. Una pioggia che si è confusa con le lacrime, al punto che ho potuto dire “No. Non sto piangendo, è l’acqua”, “Non ballo, mi sto muovendo per lasciar danzare anche le gocce”, “Eh, sì qualche canzone non la sto cantando. E lo faccio per egoismo, per non togliere nulla a me di quanto sta accadendo”.
Ma alla domanda non ho risposto “Come è stato il concerto di Vasco?”. Ci ho messo una settimana, ed ho provato anche a mettere nero su bianco qualche pensiero. Ho pensato di raccontare, tentando l’espediente colto, letterario. Ho ripensato a quegli applausi aggiuntivi che in alcuni momenti sono andati ad aggiungersi al coro perpetuo.
“Sì, facciamo bene perché, siamo vivi, e domani chi lo sa?”, “Eh già, io sono ancora qua”.
Ed ho pensato che Vasco, scrive e compone, come il poeta di Rimbaud “Il Poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato disordine di tutti i sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di pazzia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per non conservarne che la quintessenza.”. Poi ho fatto un passo indietro perché ho immaginato la voce degli esegeti letterati che sentivo già rimproverarmi per l’improprio accostamento e la purezza dei versi.
Ho ricordato allora proprio una frase di Vasco di qualche anno fa “I miei concerti sono momenti di comunione e…..liberazione” e ho pensato di aggiungervi e di completare quel concetto aggiungendovi un termine, di sicuro impatto emotivo, “resurrezione”. Nostra, sua, della band e anche di quell’acqua purificatrice. Un concerto come una sorta di preghiera laica, di lode, adorazione, supplica e intercessione. Ma anche questa non mi ha convinto, troppo suscettibile di fraintendimenti, facili polemiche che questo evento non merita.
Così sono tornato ad una suggestione che si è impadronita di me appena terminato il concerto. Un orgasmo non lo puoi descrive a parole, se non utilizzando una serie di aggettivi superlativi. È un’estasi della carne e dello spirito, è un diluvio di pulsioni e di passione. Ecco il concerto di Vasco è stato come un orgasmo. Non lo puoi descrive a parole. Lo devi vivere.
di Fabio Cavallari