Quando a due minuti dalla fine Jack ha messo quel pallone in mezzo il cuore ha smesso di battere, il respiro non c'era più, e per un attimo la mia mente è volata via, nel tempo, a pensare cosa avrei raccontato a quei nipotini che un giorno sarebbero saliti sulle mie ginocchia, a renderli partecipi di una serata di fine inverno in cui un gruppo di ragazzi con la maglia gialla s'erano resi autori di un'impresa, narrando il destro sul primo palo con cui Nicklas aveva ammutolito i novanta mila del Nou Camp. Purtroppo non è andata così, maledettamente quel controllo della sfera non ha permesso a B52 di sferrare il definitivo ko, il gol che avrebbe portato i Gunners ai quarti di finale di Champions League.
Il Barcelona è una grande, grandissima squadra, che nel computo tra andata e ritorno ha meritato di passare il turno. Meritato perché ha nella sua filosofia l'essenza del football: pensare a superare l'avversario di turno con il gioco, con le trame, con gli inserimenti, con il possesso, con i colpi di classe dei suoi elementi più rappresentativi. Lo stesso Arséne, a fine gara, s'è complimentato con gli uomini di Guardiola, definendo il Barça una squadra eccezionale, con l'augurio (sincero) di proseguire nel torneo più prestigioso del continente.
Il match, come nel turno di andata, ha visto Xavi e compagni impossessarsi fin dai primi minuti della sfera, facendola girare da destra a sinistra con una semplicità disarmante, ma a differenza del primo tempo della serata londinese, hanno trovato un Arsenal compatto, concentrato, che per quarantotto minuti non ha permesso a nessuno dei blaugrana di andare ad una facile conclusione. I ragazzi hanno giocato senza paura, tenendo altissima la linea dei quattro e inaridendo la zona centrale del centrocampo, che ha mandato in confusione i playmaker del Barça, costringendoli ad una fitta, ma inconsistente, trama di passaggi.