"Che Sardegna, Basilicata e Umbria siano in esercizio provvisorio perché i rispettivi Consigli regionali non hanno approvato il bilancio è davvero una brutta notizia. Per la Lega, che si candida a governare il Paese, questo è decisamente un pessimo biglietto da visita". Questo il post pubblicato sul proprio account Twitter da parte del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà. Un messaggio da cui si evidenzia come le promesse fatte dall'indossatore di felpe altrui si scontrano inevitabilmente con la realtà di tutti i giorni e con le problematiche che, spente le telecamere e abbandonati i luoghi battuti per sola propaganda, si riversano sui cittadini. Altro che buon governo del centrodestra.
martedì 31 dicembre 2019
sabato 28 dicembre 2019
Nemmeno la morte è stata capace di portarcelo via
Ed eccoci nuovamente qui, ancora una volta qui, quarantotto mesi dopo, quattro anni anno dopo la morte di Lemmy.
Siamo ancora qui, nonostante tutto, a ricordare e onorare una persona, prima ancora che un rocker, che ha dato molto a tutti noi con la sua musica, la sua cultura, la sua intelligenza artistica e non solo, il suo essere autentico, passionale, ironico e iconico.
Si, perché Lemmy era ed è, anche suo malgrado, un'icona. Un simbolo del vivere senza compromessi, senza che lui stesso, probabilmente, l'avesse voluto.
Lemmy era l'incarnazione dell'anarchia, quella di chi combatte e resiste sempre. Di coloro che non si vendono, rimanendo indipendenti anche a costo di perdere qualcosa nel calcolo dell'interesse personale.
Lemmy era libertà. Di pensiero, di cultura, di filosofia. Un gentleman appassionato di storia, di letteratura, di libri. Un uomo con la U maiuscola per il rispetto, la gentilezza, la riservatezza che ha sempre dimostrato nonostante l'aria da burbero nei confronti della donna.
Lemmy non c'è più, ma c'è ancora, Lemmy è passato, come si suol dire, a miglior vita, ma quella che ha attraversato sulla terra lo vive ancora come se nulla fosse accaduto, successo.
Lemmy era, è, questo e molte, tante altre cose, cose che nemmeno la morte è stata capace di portare via.
Born to lose, Live to win!
venerdì 20 dicembre 2019
Il silenzio assordante della stampa
Non ha meritato neanche una riga in prima pagina, mentre al contrario avrebbe meritato titoli a nove colonne e approfondimenti.
Non ha meritato neanche un'apertura di una qualunque edizione di un telegiornale dei maggiori canali nazionali, mentre al contrario avrebbe meritato speciali e edizioni straordinarie per mettere al corrente l'opinione pubblica della più grande operazione dopo quella che portò allo storico Maxi processo alla mafia.
334 arresti in 11 regioni d'Italia: dalla Lombardia alla Sicilia, oltre che in Germania, Bulgaria e Svizzera.
Tre anni e mezzo di lavoro condotto dalla magistratura.
Circa 3.000 militari impegnati, dal Gis al Tuscania ai Cacciatori, tutte le sezioni Ros d'Italia e tutti i carabinieri della Calabria.
15 milioni sequestrati.
"E' la più grande operazione dopo il maxi-processo di Palermo" ha sintetizzato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, aggiungendo che i 3000 carabinieri impegnati nel blitz hanno dovuto anticipare l’operazione di 24 ore per evitare il rischio di fughe di notizie.
Superfluo riportare cosa hanno preferito mettere in risalto testate giornalistiche e redazioni nella giornata di oggi.
In Inghilterra, giusto per paragonare, è stata una delle notizie principali del notiziario di Sky.
Purtroppo con un'informazione che rivendica orgogliosamente titoli come "Patata Bollente", o altra che preferisce apostrofare "Ominicchio" un rappresentante dell'attuale maggioranza, non ci si poteva aspettare altro. Purtroppo.
Tolto Il Fatto Quotidiano (on-line e cartaceo) e La Notizia di Gaetano Pedullà, in Italia il deserto.
Un pezzo di Enzo Jannacci, metà monologo e metà musica, puntava il dito contro le ipocrisie di "quelli che…". Specifico il passaggio in cui diceva: "quelli che, peggio che da noi solo in Uganda".
mercoledì 18 dicembre 2019
Spente le telecamere la politica mette ancora una volta a nudo la propria incoerenza
Ad inizio ottobre eravamo tutti collegati con l'Aula di Montecitorio, una giornata che pur non mutando radicalmente le sorti del Paese divenne storica per il via libera definitivo da parte della Camera (553 Sì) alla riforma costituzionale che riduceva i deputati da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200.
Quel disegno di legge voluto, dichiarato, promesso, uno dei punti fondamentali del programma elettorale del Movimento 5 Stelle che raccolse, stranamente e per la prima volta, una maggioranza trasversale: Pd, Leu, Italia Viva, Fdi, Fi e Lega, tutti insieme appassionatamente.
Insomma, a obbiettivi delle telecamere puntati e microfoni dei giornalisti accesi la politica italiana dichiarò al Paese intero di voler dare una sterzata all'efficienza dei lavori parlamentari e una maggiore vicinanza nei confronti dei cittadini.
Una giornata storica, come dichiararono vari esponenti dei 5 Stelle, che ebbe però una coda che sinistramente preannuncio quello a cui si è assistito in queste ultime ore.
Allora fu il renziano Roberto Giachetti, dopo aver votato a favore, che annunciò la raccolta firme per chiedere un referendum, dichiarando apertamente: "Se è vero che il nostro sistema va riformato, è evidente che la risposta non può essere il taglio dei parlamentari".
Oggi, a distanza di due mesi da quella maggioranza bulgara, Tommaso Nannicini (Pd) e gli azzurri Andrea Cangini e Nazario Pagano, promotori e aiutati dallo stesso Giachetti nell'iniziativa, hanno orgogliosamente annunciato che le 64 firme necessarie per chiedere un referendum confermativo e bloccare la riforma sono state raccolte.
Una manovra che agli occhi degli elettori e di chi semplicemente osserva dice che: a) in molti hanno pensato esclusivamente a salvarsi il posto in Parlamento; b) gli stessi hanno allontanato l'eventuale voto anticipato; c) a telecamere spente la politica ha nuovamente offerto il peggio di se.
Insomma, molteplici scenari che da una parte congelano l'attuale composizione delle camere e dall'altra mantengono inalterate le forze di maggioranza e opposizione, in linea con l'ormai palese volontà di un centro-destra che sponsorizza da mesi il voler andare al voto ma che all'atto pratico tende a stare il più lontano possibile dalle urne per un ormai probabile idiosincrasia, come avvenuto a metà agosto, ai pieni poteri.
Una mossa dalle mille sfaccettature ma che ancora una volta, per l'ennesima volta ha evidenziato come la politica, quella che non a caso le Sardine vorrebbero più responsabile nelle stanze istituzionali e meno propagandistica in televisione e nei social, è riuscita, questa volta a telecamere spente, a mettere a nudo la propria incoerenza.
giovedì 12 dicembre 2019
A processo
La prima udienza del processo si terrà il 15 settembre 2020 davanti alla terza sezione penale del Tribunale monocratico di Catania.
Avere "offeso la reputazione" della sindaca Virginia Raggi con l'articolo apparso sulla prima pagina di Libero del 10 febbraio 2017 con il titolo "Patata bollente" ha portato Vittorio Feltri a giudizio con l’accusa di "diffamazione aggravata".
Feltri è imputato in qualità di direttore editoriale e di autore del pezzo, Pietro Senaldi (che nella puntata del 10 dicembre di DìMartedì condotta da Giovanni Floris ha rivendicato: "è stato un grande titolo giornalistico") è stato rinviato a giudizio per omesso controllo in qualità di direttore responsabile del quotidiano.
Pochi giorni dopo aver infangato la memoria di una figura istituzionali come Nilde Iotti e l'aver insultato le donne emiliane e romagnole, i due maggior responsabili editoriali del quotidiano hanno trovato le porte aperte del Tribunale monocratico di Catania, e come riportato attraverso i social dalla Raggi: "Patata bollente e tubero incandescente mi scrivevano... io non dimentico... vediamo come finirà in Tribunale questa vicenda.".
mercoledì 11 dicembre 2019
Prescrizioni, leggi modificate, furbizia e privilegio
"Sono magistrato dal 1974, per tre anni sono stato giudice, poi da inquirente mi è capitato di occuparmi della loggia P2, dei fondi neri dell'IRI, di Tangentopoli, della corruzione di qualche magistrato. Alla fine, a parte la dovuta definizione giudiziaria delle singole posizioni, i risultati complessivi di questo lavoro quali sono stati? Tra prescrizioni, leggi modificate o abrogate, si è sostanzialmente arrivati a una riabilitazione complessiva di tutti coloro che avevano commesso quei reati. Con un livello di corruzione percepita che non si è modificato. E, soprattutto, con una rinnovata diffusione del senso di impunità prima imperante.
Lo strumento del processo penale è inadeguato a riaffermare la legalità, quando l'illegalità è particolarmente diffusa. Perché la giurisdizione funzioni, è necessario che esista una condivisa cultura generale di rispetto delle regole. In Italia invece la cultura diffusa è basata soprattutto su due categorie: furbizia e privilegio".
Gherardo Colombo
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domenica 8 dicembre 2019
Non sarà una notizia e di questo i grillini ne dovranno una volta di più andare fieri
La notizia non la darà nessuno. Non ci sarà alcun servizio nei telegiornali e non ci sarà alcun articolo riportato sulle pagine dei quotidiani della penisola. Nemmeno a pagina 37, neppure sotto lo spazio riservato agli sport di seconda fascia.
E questo sarà normale: quando il Movimento 5 Stelle realizza qualcosa di promesso o se ne parla male, vedi Spazzacorrotti, Redditto di Cittadinanza e Decreto Dignità, o non se ne parla proprio, come il taglio degli stipendi.
E proprio questi ultimi saranno per l'ennesima volta oscurati, banditi dall'informazione nazionale.
D'altronde perché raccontare agli italiani che il contatore del portale delle restituzioni, tirendiconto.it, segna 104,8 milioni di euro restituiti.
Perché spiegare che il primo Restitution day di questa legislatura è stato indirizzato al fondo per le piccole e medie imprese (superati i 26 milioni), e il secondo ha invece destinato 2 milioni di euro per gli interventi della Protezione civile nelle aree del Paese martoriate dalle conseguenze di alluvioni e altri fenomeni meteorologici estremi.
Perché evidenziare i 969.000 euro destinati al Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, oppure la consegna di 441.000 euro al fondo contro la violenza sulle donne, aggiungendo un piccolo ma concreto segno di attenzione alle importanti iniziative legislative messe a punto nei mesi passati come il Codice Rosso.
Perché portare all'attenzione dell'opinione pubblica l'ultima iniziativa, Facciamo Ecoscuola, grazie alla quale saranno destinati 3 milioni di euro a progetti di sostenibilità nelle scuole italiane: riduzione dell’impronta ecologica, interventi di messa in sicurezza dei locali scolastici, promozione della mobilità sostenibile, educazione ambientale, rigenerazione degli spazi, organizzazione di giornate per la sostenibilità.
Già, perché.
In questo paese l'informazione preferisce distorcere la realtà con notizie che nulla ci azzeccano con quanto realmente accaduto. In questo paese l'informazione preferisce continuare a riempire la mangiatoia dell'opinione pubblica con notizie che quella stessa vuole leggere.
In questo paese l'informazione non riporterà la notizia dei 104,8 milioni dal taglio stipendi restituiti agli italiani da parte del Movimento 5 Stelle.
E di questo i grillini ne dovranno una volta di più andare fieri, perché significherà, oltre che averlo promesso l'averlo fatto per davvero.
giovedì 5 dicembre 2019
Nessuna notizia
Italia Viva è scesa in piazza contro la legge del ministro Alfonso Bonafede. Lo ha fatto sostenendo la protesta delle Camere penali davanti alla corte dei Cassazione. E certificando quello che fino ad oggi era solo un retroscena: i renziani sono pronti a sostenere la proposta di Forza Italia. Anzi: quella del berlusconiano Enrico Costa è proprio la proposta di Italia Viva. “Noi sosteniamo la proposta Costa”, ha spiegato Maria Elena Boschi
martedì 3 dicembre 2019
Informazione italiana: "quelli che, peggio che da noi solo in Uganda"
Oggi mi voglio rivolgere ai lettori con una considerazione sulla libertà di stampa della nostra informazione, che questa sia cartacea, web o che provenga dallo schermo televisivo. E voglio associare a questo male italiano un pezzo di Enzo Jannacci, metà monologo e metà musica, che puntava il dito contro le ipocrisie di "quelli che…". Specifico il passaggio in cui diceva: "quelli che, peggio che da noi solo in Uganda".
La realtà, però, ha superato l’ironia: la stampa ugandese è probabilmente più oggettiva della nostra. Ci sono cose che si possono leggere solo pensando ad autori comici. Ad esempio i titoli dei quotidiani nazionali apparsi nella mattinata post informativa rivolta a Camera e Senato da parte del Presidente del Consiglio.
Consapevole di non voler rubare la scena alla rubrica-editoriale del lunedì mattina proposta da Marco Travaglio, "Mi faccia il piacere", commento in ordine sparso:
Il Giornale: "Maggioranza spaccata, il Premier sbugiarda i suoi ministri e scarica Di Maio";
La Verità: "Giuseppi viene sbugiardato in diretta da Eurogruppo e Lega";
Libero: "La Ue: già approvato. La Lega: raccolta firme per bloccarlo";
la Repubblica: "Rottura Conte-Di Maio, Dall'Europa no al rinvio dell'intesa".
Ricapitoliamo: in un pomeriggio dove il Presidente del Consiglio ha spiegato minuziosamente tutti i passaggi parlamentari che ha affrontato il Trattato sulle misure contenute nel pacchetto che prevede, oltre al Mes, la riforma dell'Unione bancaria (Union banking) e l'assicurazione sui depositi, la nostra informazione cartacea nazionale è riuscita nell'impresa di scrivere tutto ciò che non è avvenuto.
Ma non solo. Oltre a palesi menzogne come quella del no dell'Europa al rinvio riportata da Repubblica o l'ipotetico sbugiardamento da parte dell'Eurogruppo nei confronti di Conte scritto dalla Verità (fonti europee hanno dichiarato che la firma del Trattato può essere posta anche la prossima primavera, lasciando ai parlamentari dei vari Stati membri la possibilità di approfondire e discutere la legislazione secondaria), l'interpretazione data a gesti e situazioni ha ampiamente superato il confine con la realtà.
Dove ci sia una maggioranza spaccata è ancora tutto da capire, visto che, a risposta all'intervento del Premier tutte le forze, e non solo quelle di maggioranza (vedi l'intervento del Professor Brunetta alla Camera e di Emma Bonino al Senato), hanno ringraziato per il lavoro svolto e per aver puntualizzato l'intero iter parlamentare, raccomandandosi, come era già ampiamente avvenuto nelle precedenti interlocuzioni, di migliorare l'intera riforma.
Dove la Ue abbia già approvato l'intero trattato come riportato in prima dal quotidiano di Vittorio Feltri rimane un mistero, visto che non è stata apportata alcuna firma, né dall'Italia né da altri.
Dove Conte abbia sbugiardato i suoi ministri e scaricato/attaccato Di Maio nemmeno la Var sarebbe in grado di valutarlo.
A dar manforte al cartaceo c'hanno pensato anche i vari talk show televisivi, promuovendo la stessa sceneggiatura e avvalendosi di quei protagonisti che hanno imbrattato di falsità il bianco candore dei fogli di giornale.
A Conte è stato confezionato, prima di qualsiasi valutazione seria dei fatti, il vestito del traditore, dello sconfitto, del bugiardo. Purtroppo va così. Di tanto in tanto serve il capro espiatorio, per ricominciare peggio di prima: si sdraia la bestia sul tavolaccio, ma poi, quando non si può tagliargli la gola a causa dell'insussistenza assoluta dei fatti, si decide, per salvare la faccia ad una narrazione che ha gettato fango, di ferirla, anche più volte, ma senza ucciderla. Tanto chi vuoi che protesti? Trattasi di Conte, dei 5 Stelle, di un governo nato, secondo i più, forzatamente e senza la minima idea di dove andare. Sono incapaci per definizione.
L’Italia ha un drammatico problema di cultura. Nella quotidianità come in politica.
In quanto all'informazione... dell’Uganda abbiamo già detto.
Posizioni speculari
Matteo Salvini (leader sovranisti italiani): "Si rischia di usare i soldi dei risparmiatori italiani per salvare le banche tedesche".
Alice Weidel (capogruppo di AFD, sovranisti tedeschi): "Il MES è inutile perché salverà le banche italiane coi soldi dei tedeschi".
Nota a margine: Alternative für Deutschland, partito di ultradestra tedesco, insieme alla Lega di Matteo Salvini fanno parte del gruppo dell'Europarlamento "Identità e Democrazia".
L’Eurocazzaro
Ce ne vorrebbe uno al giorno, di confronto Conte-Salvini in Parlamento, per far capire agli italiani da chi sono governati oggi e da chi rischiano di esserlo domani. Da una parte una persona seria e competente. Dall’altro un caso umano in stato confusionale. Ieri, alla Camera e al Senato, si è visto un premier che sa ciò che dice e conosce le materie che tratta. E un aspirante successore che palesemente denota “disinvoltura a restituire la verità e resistenza a studiare i dossier”. Conte ha puntualmente ricostruito l’iter del Mes (Meccanismo europeo di stabilità), il costante coinvolgimento del Parlamento e dei ministri dei suoi due governi fin da quando, il 27 giugno 2018, appena arrivato, il premier riferì le proposte della Commissione europea. E nessuno fece una piega. Due giorni dopo, al vertice Ue, Conte propose modifiche alla bozza del Mes e l’11 dicembre tornò a riferirne alle Camere: nessun’obiezione neppure allora. Ne riparlò al Parlamento il 19 marzo, vigilia del Consiglio europeo. E di nuovo il 19 giugno, prima dell’Eurosummit decisivo. Lì perfino il leghista No Euro Alberto Bagnai gli fece i complimenti: “Mi permetta, signor Presidente del Consiglio, di ringraziarla per il fatto che lei, in applicazione di questa norma e in completa coerenza con quel principio di centralità del Parlamento, fin dal primo giorno, affermò in questa sede di voler rispettare, sia venuto ad annunciarci che questo approfondimento tecnico ci sarà”.
lunedì 2 dicembre 2019
Il dibattito politico andato in scena nel giorno dell'informativa sul Mes spiega perché le piazze si sono riempite di sardine
Questa politica, (quasi) tutta, ha offerto nella giornata dell'informativa sul Mes portata dal Presidente del Consiglio in Camera e Senato il peggio di se.
Accuse, tradimenti, bugie, menzogne, offese, minacce, striscioni, frasi ingiuriose hanno fatto da corollario ad un pomeriggio dove a perdere, ancora una volta, è stata la così detta rappresentanza del popolo italiano.
Dopo quanto potuto osservare inevitabile fare nomi e cognomi: Giorgia Meloni alla Camera, Matteo Salvini al Senato, i giornali complici della narrazione che ha portato il Presidente del Consiglio a dover scendere in campo per spiegare ciò che negli ultimi diciotto mesi mesi doveva essere ben chiaro ai più.
Consapevole del proprio operato, Giuseppe Conte ha tracciato il percorso che Parlamento, Senato e vari Consigli dei Ministri avevano discusso dal giugno dello scorso anno, un racconto senza sbavature e con tanto di allegati al testo letto alle camere che ha portato la maggioranza dei presenti a spendere parole importanti, e favorevoli, nei confronti dello stesso Presidente del Consiglio.
Il contro è arrivato dai soliti noti. In Parlamento, con la totale assenza di preparazione ai temi in discussione, c'ha pensato Giorgia Meloni, ribadendo concetti che nell'humus del sovranismo l'hanno portata a raggiungere la doppia cifra nell'ipotetica intenzione di voto degli italiani.
In Senato è stata invece la volta di Matteo Salvini, che al termine dell'ennesimo intervento a metà tra un comizio elettorale e uno slogan propagandistico si è anche tolto lo sfizio di rivolgere a colui che il 20 di agosto scorso lo relegò dietro la lavagna il: "si vergogni".
Il tutto senza che la Presidente Casellati, incalzata da Andrea Marcucci, prendesse alcun provvedimento. Anzi, dopo che il capogruppo dem ha fatto notare l'ingiuria rivolta al Presidente del Consiglio la seconda carica dello Stato ha minimizzato con un: "lo ha detto tra parentesi".
La bagarre in aula è terminata con l'ex ministro Centinaio prodigo nell'insultare chissà chi e il leader del Carroccio abbandonare, autobiograficamente, l'aula del Senato.
Insomma, una discussione che avrebbe dovuto svolgersi nell'interesse di un paese intero si è trasformata, con l'insorgere di accuse, menzogne, offese, minacce, e frasi ingiuriose, nell'ennesima occasione per comprendere una volta di più perché le piazze italiane si stanno riempiendo di sardine.
Insomma, una discussione che avrebbe dovuto svolgersi nell'interesse di un paese intero si è trasformata, con l'insorgere di accuse, menzogne, offese, minacce, e frasi ingiuriose, nell'ennesima occasione per comprendere una volta di più perché le piazze italiane si stanno riempiendo di sardine.
Ora, o meglio da domani toccherà ai giornali e ai vari talk televisivi rinfocolare quei temi portati avanti da un modo di fare politica che ha gettato fango e menzogne sul Presidente del Consiglio. Una connivenza capace di destabilizzare i mercati, renderci poco raccomandabili come istituzioni, in nome di una presunta difesa dei confini nazionali e degli interessi degli italiani.
Aspetti oggettivi
L'informativa odierna rilasciata dal Presidente del Consiglio a Camera e Senato ha evidenziato due aspetti oggettivi: 1) è una tematica talmente tecnica che, eccetto gli addetti ai lavori, il resto del Paese, "politici" compresi, non può che non averci capito niente. Tralascio, purtroppo, il fare a gara per parlarne e discuterne su giornali e all'interno degli studi televisivi da parte dei commentatori (si badi bene: commentatori, non economisti) citati dal capo gruppo alla Camera della Lega; 2) Matteo Salvini (incommentabile per maleducazione il suo intervento al Senato) e Giorgia Meloni (incommentabile per manifesta impreparazione sul tema il suo intervento alla Camera) hanno confermato per l'ennesima volta di decontestualizzare ogni qualsivoglia discussione politica, usandola per fare propaganda e conquistare l'ennesimo punto percentuale. Il tutto sacrificando l'interesse nazionale, quello che loro vanno dicendo di difendere.
Nota a margine: fonti europee hanno dichiarato che il testo può già considerarsi soddisfacente (fonti diplomatiche francesi) e che la firma del Trattato (quella non ancora apportata) può essere posta anche la prossima primavera, lasciando ai parlamentari di ogni singolo stato la possibilità di discutere la legislazione secondaria (come ottimamente evidenziato alla Camera da Fassina).
Nota a margine: fonti europee hanno dichiarato che il testo può già considerarsi soddisfacente (fonti diplomatiche francesi) e che la firma del Trattato (quella non ancora apportata) può essere posta anche la prossima primavera, lasciando ai parlamentari di ogni singolo stato la possibilità di discutere la legislazione secondaria (come ottimamente evidenziato alla Camera da Fassina).
sabato 30 novembre 2019
Déjà vu
Giuseppe Conte, non avendo nulla da nascondere e come su altre vicende ha già fatto in passato, lunedì pomeriggio presenterà un'informativa alla Camera sulla questione del fondo Salva Stati.
Pungolato da Matteo Salvini e dal resto del centrodestra capitanato da Giorgia Meloni, che hanno continuato ad agitare fantasmi sul cosiddetto Mes sostenendo che il Governo sta svendendo l’Italia all'Unione europea, il Presidente del Consiglio ha dichiarato che lunedì sarà in Parlamento, pronto a spazzare via mezze ricostruzioni, mistificazioni, mezze verità e palesi menzogne.
La butto a culo: stai a vedere che per il Cazzaro Verde il 2 di dicembre si trasformerà in un altro 20 agosto.
venerdì 29 novembre 2019
Quell'inarrestabile e preoccupante declinazione politica che non riesce nemmeno più a garantire l'equità nel dibattito tra le parti
I dati fatti emergere dall'Agcom sulle presenze dei leader politici in televisione hanno confermato quello che occhio nudo aveva già individuato osservando i talk show e i telegiornali delle reti generaliste della penisola. A vincere, per distacco, ancora lui, Matteo Salvini.
Imbarazzanti le misure, nonostante il numero uno di Via Bellerio abbia abbandonato da tempo le stanze del Viminale e quelle di Palazzo Chigi.
Rispetto all'attuale esecutivo il leader del principale partito di opposizione ha staccato il Presidente del Consiglio di oltre 10 ore e di ben 70 sia di Luigi Di Maio che Nicola Zingaretti, con questi ultimi due che insieme a Giorgia Meloni faticano ad arrivare alle 80 complessive.
Mister 100 ore in televisione, agevolato dal sonno profondo di tutti i vertici Rai e dalle mancate sanzioni economiche, ha così potuto produrre indisturbato quella propaganda atta, da una parte a fargli mantenere l'attuale consenso e dall'altra, come successo in un'intervista a Unomattina, affermando palesi e conclamate falsità e la richiesta d'arresto del Presidente del Consiglio, reo secondo il leghista di alto tradimento nei confronti del popolo italiano.
Il tutto, come presentato alla commissione Vigilanza da Michele Anzaldi e Luigi Marattin, senza che i conduttori del rotocalco di Rai1 abbiano proferito verbo.
Il dato più allarmante è però un altro: la totale assenza di notizia da parte dei maggiori mezzi d'informazione del Paese.
Tolti quei pochi (Il Fatto di Marco Travaglio, La Notizia di Gaetano Pedullà) nessuno ha dato importanza a dei numeri che hanno di fatto creato un gap comunicativo all'interno del panorama politico nazionale.
Telegiornali, quotidiani, talk show e la schiera di commentatori al seguito hanno snobbato l'impari sfida che ha visto coinvolti negli ultimi quattro mesi maggioranza ed opposizione, con la prima soverchiata da quest'ultima a colpi di presenze televisive.
Nella ora versione giacca di velluto e pantalone di fustagno, brutta copia di una sinistra dei tempi che furono, il leghista ha invaso, dalla Rai a La7 passando naturalmente per l'amica Mediaset (è ormai coinquilino di Porro e Giordano), lo spazio del piccolo schermo, creando una sorta di impar condicio anche dal punto di vista di quei pochi, e sempre uguali, contenuti che porta all'attenzione di pubblico e addetti ai lavori.
Naturalmente evitando scientemente di sedere dove il confronto lo ha già perso per manifesta incapacità (Floris e Gruber), dove lo perderebbe a fronte di un naturale contraddittorio tra le parti (diserta il talk di Formigli e Mezz'ora in più di Lucia Annunziata) e presenziando, al contrario, dove aranciate, popcorn e zii per una sera si sdraiano supinamente agli slogan propagandistici del momento.
Tutto questo non ha fatto altro che produrre un'inarrestabile e preoccupante declinazione politica, un abbassamento graduale non solo dei contenuti ma e soprattutto di quegli spazi televisivi che invece dovrebbero garantire equità di dibattito tra le parti.
Tutto questo non ha fatto altro che produrre un'inarrestabile e preoccupante declinazione politica, un abbassamento graduale non solo dei contenuti ma e soprattutto di quegli spazi televisivi che invece dovrebbero garantire equità di dibattito tra le parti.
martedì 26 novembre 2019
Il gesto di Almirante e Berlinguer
Nella simmetria dell'orrore Guido Rossa viene assassinato dalle BR, mentre il magistrato Emilio Alessandrini finisce sotto il fuoco di Prima Linea a Milano.
Cosa Nostra s'incarica di uccidere a Palermo il giudice Terranova e il commissario Boris Giuliano. L'avvocato Giorgio Ambrosoli cade a Milano sotto i colpi di un killer mandato dagli amici di Michele Sindona. A Roma il direttore di "OP", Mino Pecorelli viene tolto di mezzo da chi non gradisce gli scoop della rivista vicina ai servizi segreti, e non apprezzata da Giulio Andreotti e dalla corrente democristiana di cui è il capo.
Nelle stesse ore viene trovato il corpo senza vita di Aldo Moro ma anche quello, a Cinisi, di Peppino Impastato, giovane attivista di Democrazia Proletaria, nemico giurato dei mafiosi, eliminato da chi lo considerava un rompicoglioni.
Erano gli anni della cacciata dello Scià e della presa di potere in Iran dell'ayatollah Khomeyni.
In Cambogia i vietnamiti mettono fine al regime di Pol Pot e all'immenso bagno di sangue che ha trasformato il paese in un cimitero (due milioni di morti).
L'URSS invade l'Afghanistan. In Spagna termina la dittatura franchista. In Guyana avviene il suicidio di massa della setta del reverendo Jones.
In Italia le elezioni confermano la diarchia della DC (38.3%) con il PCI (30.4%).
Giovanni Leone si dimette e al Quirinale arriva Sandro Pertini.
Come già ricordato muore Paolo VI e, dopo l'interregno brevissimo di Giovanni Paolo I (E' rimorto il Papa, titola beffardo "Il Manifesto"), comincia l'era di Karol Wojtyla.
L'anonima sarda rapisce Fabrizio De André e Dory Ghezzi.
Nasce il TG3. Nella tv dei ragazzi impazzano Heidi e Ufo Robot.
A Padova, con la retata del giudice Guido Calogero, finisce in galera Toni Negri, ideologo dell'Autonomia. Nella hit parade trionfano i Bee Gees, Umberto Tozzi, Antonello Venditti ma tutti cantano "... Tu sei l'unica donna per me" di Alan Sorrenti. L'Argentina vince i Mondiali battendo 3-1 l'Olanda mentre nel silenzio del mondo prosegue la mattanza della dittatura.
Erano anni spietati, frenetici, euforici. Eravamo avidi, famelici, ambiziosi. Camminavamo lungo strade lastricate di orrore, cinismo e prepotenza. Dove lasciavamo tracce visibili e leggere, come se tutta quella morte non ci riguardasse.
Una volta s'incontrarono a Villa Borghese.
Soltanto loro due.
Senza ombre.
Senza scorte.
Molti anni dopo A. lo raccontò a una persona cara.
Mi piace immaginarli su una panchina.
Uno accanto all'altro.
Sempre di venerdì.
All'imbrunire.
Mentre il parco si faceva silenzioso.
Magari non avevano nulla d'importante di cui parlare.
Magari era solo per il piacere di stare li.
Come due persone che non hanno bisogno di dirsi altro.
di Antonio Padellaro
(Paper FIRST - by Il Fatto Quotidiano)
Pio La Torre, il comunista ammazzato dalla mafia che sfidò la guerra fredda (e inventò il modo per confiscare le ricchezze dei boss)
Quando Pio La Torre torna nuovamente in Sicilia nell’autunno del 1981 per prendere in mano la direzione del Partito comunista regionale, dopo la parentesi romana durata 12 anni come membro della Direzione e della Segreteria nazionali del partito, ha affidato “il preciso compito di dare la precedenza su tutto alla lotta contro l’installazione dei missili” a Comiso. Il 7 agosto di quell’anno il Consiglio de ministri ha approvato la decisione della Nato di collocare 112 missili nucleari di media gittata, Cruise, nell’aeroporto siciliano. Con la fine della distensione nelle relazioni Est-Ovest, il mondo è tornato alla fine degli anni Settanta in piena guerra fredda. La Sicilia è così destinata a ospitare fino al crollo dell’Unione sovietica la più importante base militare dell’Europa del Sud.
Il 4 aprile 1982, si tiene a Comiso la storica manifestazione pacifista a cui partecipano un centinaio di migliaia di persone, che chiede la sospensione dei lavori per l’installazione delle testate nucleari, con l’obiettivo di facilitare le trattative per il disarmo in corso a Ginevra. Pio La Torre, in testa al corteo, e i comunisti siciliani, ne sono gli artefici. Anche se il messagio pacifista riesce a raggiungere attivisti e sensibilità esterne al Pci, coinvolgendo le forze della sinistra, le Acli, i movimenti ambientalisti e non-violenti. La manifestazione aveva fornito lo slancio necessario per la raccoltà di un milione di firme.
Quattro giorni dopo cominciavano i lavori a Comiso per l’installazione dei missili. Il 30 aprile, alle 9:20, in via Turba, a qualche centinaio di metri dalla casa dove era nato nella borgata palermitana di Altarello, La Torre è aggredito da un commando mafioso mentre si sta recando alla sede del Pci regionale. La Torre muore all’istante sotto la raffica dei proiettili. Il compagno, amico e guardia del corpo Rosario di Salvo ha il tempo di estrarre la pistola e sparare cinque colpi prima di perdere la vita.
Ai funerali una folla gremisce Piazza Politeama. La scenografia è quella classica adottata nella simbologia di partito per i riti funebri, che a sua volta eredita la tradizione dei funerali di stato. I feretri avvolti dalla bandiera del Pci, le bandiere in alto che sventolano durante il corso della cerimonia, la fila di ghirlande ornate di fiori rossi, il grande proscenio allestito al cospetto delle bare con la scritta bianca su sfondo rosso in onore dei compagni defunti, l’inno dell’Internazionale che chiude la celebrazione, mentre la folla si congeda.
Ma non è un funerale come un altro per i comunisti, e per gli italiani. Al passaggio dei feretri, la folla, partecipe, ma composta, sembra preferire l’applauso ai pugni chiusi, che pur si scorgono dalla riprese Rai dell’epoca punteggiare la folla nell’ultimo tratto del percorso che conduce alla piazza. Enrico Berlinguer vi pronuncia un discorso sobrio, come è nello stile del segretario del Pci Istituzionale, nel senso partitico. Senza sbavature. A tratti, appare ingessato. La voce è sul punto di spezzarsi, per un frangente, solo dopo essersi rivolto ai familiari, per dire che i due compagni “saranno ricordati da una moltitudine di siciliani e di italiani come due intrepidi combattenti che hanno lottato per la causa giusta”.
Il messaggio di Berlinguer si rivolge principalmente al partito e ai suoi militanti e simpatizzanti. Non è un caso probabilmente se il discorso acquista tono quando abborda la questione della pace e della battaglia contro l’installazione dei missili a Comiso. Come a voler rivendicare la giustezza e l’opportunità di quella linea, nonostante l’enorme costo pagato.
Ammazzato dalla mafia, contro la violenza mafiosa La Torre aveva forgiato sin dagli esordi la sua militanza politica e sindacale. Figlio di un povero contadino semibracciante, aveva aderito al Pci nel 1945. Per la Sicilia, sono gli anni epici del movimento contadino, delle occupazioni delle terre, del Pci diretto da Girolamo Li Causi, ma anche della mattanza mafiosa che miete decine di militanti e dirigenti socialisti e comunisti. Una guerra civile strisciante. Nel 1948, era toccato a La Torre prendere il posto a Corleone di Placido Rizzoto, trucidato dalla mafia, alla testa della locale Camera del lavoro.
Trent’anni dopo, il terrorismo mafioso è tornato in azione, ma è di segno diverso. Colpisce più in alto, in modo selettivo, e ha finalità eversive. Attacca lo Stato e i suoi rappresentanti. Il primo che aveva maturato la consapevolezza della pericolosità dell’incarico di ritornare in Sicilia era stato proprio Pio La Torre. Due settimane prima di essere assassinato, aveva trascorso la Pasqua a Roma con la famiglia dall’amico Emanuele Macaluso. Dopo aver pranzato, passeggiando sul lungo Tevere, La Torre aveva delineato a Macaluso i nuovi assetti politico-mafiosi che si stavano imponendo nell’isola, dopo l’uccisione dei democristiani Michele Reina e Piersanti Mattarella. E gli confidò: “Ora tocca a noi”.
I processi hanno individuato gli esecutori dell’omicidio e circoscritto il movente alla lotta condotta da Pio La Torre contro l’organizzazione mafiosa. La relazione di minoranza della Commissione nazionale antimafia della VI legislatura, e la legge che sarà approvata postuma che introduce nel codice penale la previsione del reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis) e la confisca dei beni alla mafia, portano il suo nome. Secondo un pentito, i mandanti sarebbero da individuare tutti all’interno dei vertici mafiosi: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Antonino Geraci. Ma secondo alcuni non si può escludere la pista atlantica, ovvero che la politica di opposizione del Pci all’installazione dei 112 missili Cruise a Comiso avesse determinato, contribuito o accelerato la condanna a morte del dirigente comunista. Ne erano tra gli altri convinti Luigi Colajanni, suo vice alla direzione del Pci siciliano durante la breve stagione politica che lo condusse alla morte, e Giovanni Falcone.
Un libro stampato dall’Istituto poligrafico europeo, frutto di un convegno organizzato dalla Fondazione Gramsci e dall’Istituto Gramsci siciliano, curato da Tommaso Baris e Gregorio Sorgonà, ritorna adesso sulla biografia di Pio La Torre. Gli autori hanno inteso escludere esplicitamente una prospettiva celebrativa e teleologica che riducesse il dirigente comunista siciliano al solo impegno antimafia. Non hanno tuttavia evitato – e a ragione – un approccio empatetico con l’uomo politico che ha consapevolmente voluto testimoniare, con il massimo sacrificio, la verità della sua causa.
domenica 24 novembre 2019
Beppe Grillo e i temi legati ad ambiente, lavoro, istruzione e sanità devono raccogliere la domanda delle piazze riempite dalle sardine
La calata di Beppe Grillo nella Città Eterna è giunta come un fiume in piena: acqua che ha saputo, da una parte cancellare menzogne e leggende metropolitane (come confermato dal leader politico Luigi Di Maio) e dall'altra portare all'attenzione quei temi su cui il Movimento e l'attuale esecutivo dovranno necessariamente parlare a quell'ampia fetta di paese che quel fiume lo sta attraversando vestita da sardina.
La narrativa imposta da chi oggi detiene il così detto consenso popolare (stabilito dalle intenzioni di voto degli italiani) è stata investita, oltre che dalle piazze, dalla fantasia di chi dodici anni fa catalizzò l'attenzione di un popolo stanco del sistema Italia.
Non un caso che il ritorno in campo di Beppe Grillo sia coinciso con la prepotente ondata delle sardine, seppur senza nessuna intenzione di mettersi il cappello delle piazze di Bologna e Modena.
Oggi come allora il comico genovese ha espresso dinamicità, idee, spirito combattivo, assunzione di responsabilità, traendo le logiche e naturali differenze. Impossibile, per fortuna, essere quelli di allora, ha tuonato il creatore del Movimento, delittuoso non guardare il domani basando la politica su temi come ambiente, lavoro, istruzione e sanità, ha proseguito il settantunenne a fianco di un Luigi Di Maio rigenerato dalla presenza di chi ha ribadito la leadership politica del ragazzo di Avellino.
Ora, però, sarà importante raccogliere la domanda delle piazze riempite dalle sardine, quel vuoto che ha chiamato gli stessi protagonisti a mettersi in discussione. Lo ha fatto Mattia, lo hanno fatto tutti coloro che hanno sfidato la pioggia e quella destra definita dallo stesso Grillo pericolosetta: se siamo qui, se ci stiamo guardando negli occhi è perché abbiamo compreso di esserci colpevolmente estraniati dalla discussione politica, lasciando spazio a chi ha legittimamente approfittato del nostro silenzio, della nostra pigrizia.
Ecco perché, come ribadito da Grillo e da vari esponenti del Partito Democratico, la domanda di quelle piazze dovrà essere ascoltata, raccolta, condivisa, offrendo quelle risposte legate all'ambiente, al lavoro, all'istruzione, alla sanità.
Una letteratura politica che possa nuovamente stimolare, attivare, riaccendere coloro che in una piovosa serata di novembre si sono decisi a voler nuovamente partecipare alla vita politica e sociale del Paese.
mercoledì 20 novembre 2019
Perché dobbiamo continuare a contribuire alle tragedie che colpiscono il Paese?
Se in Italia piove, un fenomeno naturale che in un anno accade mediamente da un minimo di 60 giorni a un massimo di 120, le tragicità si materializzano e si moltiplicano, e scusate il giro di parole, come se piovesse. Tra allerte meteo, rischi idrogeologici ed emergenze varie oltre la metà delle regioni italiane (come accaduto in questo ultimo periodo) vengono interessate da una serie infinita di situazioni che coinvolgono: territorio, cittadini, corpi dello Stato e bellezze artistiche.
Accade ormai da anni, da lustri, e nonostante i mille proclami, le parole dette e tutto quel che ruota regolarmente intorno alla propaganda politica, niente viene fatto.
Passato il momento, terminata l'emergenza, tutto finisce nel dimenticatoio.
Comprese tutte quelle contribuzioni che vengono chieste, mettendo sul piatto lo strazio della tragedia, ad un popolo che in fatto di solidarietà non è secondo a nessuno.
Spontaneo viene da chiedere dove finiscono tutti i denari fatti confluire attraverso gli sms solidali, le gare di solidarietà, i bonifici fatti su conti correnti di questo e di quello.
Provocatoriamente viene da chiedere perché il popolo italiano deve contribuire alla tragedia di turno dopo aver versato regolarmente quelle tasse che dovrebbero servire ogni anno al mantenimento e alla salvaguardia del Paese intero.
A Venezia, giusto per prendere ad esempio l'ultima emergenza, giacciono sott'acqua oltre cinque miliardi di euro sborsati dai contribuenti, quelli che sarebbero dovuti servire a realizzare il Mose e a impedire alle maree di invadere e allagare la più bella città del mondo.
In Liguria, passato uno dei week-end più piovosi di sempre, è iniziata la conta dei danni nelle provincie di Genova, Savona e Imperia, e dopo il crollo del viadotto è iniziata l'ennesima analisi sui piloni, come se il Morandi non avesse insegnato nulla.
Perché allora il Mose non funziona? Perché i ponti crollano? Perché il contribuente deve mettere nuovamente mano nelle proprie tasche? Perché ogni volta ci si deve ritrovare ad affrontare un'emergenza? Ma soprattutto: perché le mangiatoie della solidarietà che sfruttano le coscienze, che circuiscono chi ogni anno paga di tasca propria perché tragedie come quella di Venezia o i crolli in Liguria non accadano, dovrebbero continuare ad essere foraggiate?
martedì 19 novembre 2019
Imperdonabile trascuratezza
La denota, dopo l'ennesima menzogna contro l'attuale esecutivo e in particolar modo avversando per questioni prettamente personali il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (quel 20 agosto 2019 non lo supererà mai), l'ex ministro dell'Interno e attuale leader del centro-destra unito come le luci dell'albero di Natale.
In questa, di circostanza, al ministro della propaganda (unica carica mantenuta) si sono uniti Giorgia Meloni, Adolfo Urso (Fratelli d'Italia) e Lucio Malan (Forza Italia), tutti concordi nel trattare la questione, la presunta firma sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, come "alto tradimento" dell'inquilino di Palazzo Chigi, al punto da richiederne, "con urgenza", il riferimento in Parlamento.
Peccato che di firme non ce ne sono state. Né di notte, né di giorno e né di nascosto.
La bozza di riforma (concordata a giugno, quando altri erano già in vacanza)) prevede la possibilità di aprire la strada alla ristrutturazione del debito, ma al momento, come da accordi, non è stata sottoscritta dall'Italia come da nessun'altro degli altri Paesi della zona euro.
Ma c'è di più.
Non c’è stato ancora nemmeno alcun voto di Conte o degli altri capi di Stato e di governo sull'accordo complessivo.
L'eventuale sottoscrizione è invece programmata per dicembre e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha già chiarito, per iscritto, la sua disponibilità a riferire alle Camere l’avanzamento dei lavori e a illustrare nel dettaglio i contenuti della riforma, anche con riguardo all'intero pacchetto.
A questo si aggiunge che il Parlamento ha potere di veto sull'approvazione definitiva, e per quanto alla trasparenza di comunicazione la presidenza del Consiglio ricorda che Conte ha riferito alle Camere il 19 giugno, accogliendo una risoluzione che impegnava il governo ad esprimere una valutazione finale sul negoziato soltanto all'esito della definizione dell'intero pacchetto di riforme.
La nota conclusiva proveniente dalla presidenza del consiglio evidenzia che il senatore a giugno era ancora vicepremier (oltre che degustatore seriale di bevande alcoliche) e quindi "avrebbe dovuto prestare più attenzione per l'andamento di questo negoziato, tanto più che l'argomento è stato discusso in varie riunioni di maggioranza, alla presenza di vari rappresentanti della Lega (viceministri all'Economia e presidenti delle Commissioni competenti). Il fatto che il senatore Salvini scopra solo adesso l'esistenza di questo negoziato è molto grave. Denota una imperdonabile trascuratezza per gli affari pubblici. Chi pretende di guidare l'Italia senza premurarsi di studiare i dossier dovrebbe quantomeno evitare di diffondere palesi falsità. Con la propaganda intrisa di menzogne non si curano certo gli interessi dei cittadini italiani".
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lunedì 18 novembre 2019
Preordinato illecito disegno
Giorgio De Nova, Enrico Castellani e Marco Annoni hanno vergato un atto durissimo nei confronti di ArcelorMittal.
Nelle 70 pagine di ricorso urgente ex articolo 700 firmate dagli avvocati si evince come la multinazionale dell'acciaio sta cercando di perseguire l'"illegittimo intento" di sciogliere il contratto d’affitto, un comportamento "programmato" per "recare il maggior possibile livello di devastante offensività".
Un'iniziativa "gravissima" e "unilaterale" che se arrivasse a termine porterebbe alla restituzione delle "macerie" di un impianto industriale di "interesse strategico". E tutto questo "determinerebbe danni sistemici incalcolabili" a carico dell'"intera economia nazionale" e creando anche "una gravissima crisi occupazionale", lasciando "irrisolte problematiche ambientali e di sicurezza".
Una tesi che si regge dopo che ArcelorMittal ha:
1)"interrotto qualsiasi ordine di materie prime";
2)"rifiutato nuovi ordini dei clienti";
3)"interrotto i rapporti con i subfornitori";
4)"interrotto l’avanzamento del Piano Ambientale";
5)"sta interrompendo la manutenzione degli impianti".
Il tutto non da ora, ma già da mesi!
ArcelorMittal, aggiungono, "non ha neppure eseguito il programma di manutenzione concordato nell'ambito del Contratto in modo coerenti alle migliori pratiche di esercizio".
Da un documento inviato dalla multinazionale a Ilva lo scorso 25 settembre emerge, secondo i legali dei commissari, "che molte delle attività programmate per il periodo novembre 2018-aprile 2019 non erano state eseguite o erano state effettuate solo in parte".
I legali, a fronte di tutto ciò, si spingono a dire che le "vere ragioni" del modus operandi dei franco-indiani "sono evidentemente da ascrivere": o "all'intervenuto riscontro della propria incapacità di gestire l’operazione perseguita", oppure "alla pervicace volontà di eliminare dal mercato definitivamente un proprio concorrente distruggendone l’organizzazione aziendale".
Un'interpretazione, si legge ancora, "forse più probabile a fronte della condotta di ArcelorMittal negli ultimi quindici giorni".
La "realizzazione del preordinato illecito disegno", aggiungono, "condurrà inevitabilmente al perimento degli altoforni" nonché alla "distruzione dell'avviamento, ed alla dispersione del know-how aziendale".
In pratica, sintetizzano, "alla morte del primo produttore siderurgico italiano e uno dei maggiori d'Europa".
E pensare che da 15 giorni ci sono "politici", "giornalisti" e "opinionisti" che vanno in televisione o sui giornali a tenere ancora le parti dei franco-indiani... quelli che secondo i sopraccitati erano venuti a salvarci, e noi, incapaci, li abbiamo fatti scappare.
domenica 17 novembre 2019
Ilva, lo scudo penale sarebbe un grave autogol per lo Stato
Buona parte dei media sostiene che la reintroduzione dello scudo penale per l’Ilva, pur discutibile, avrebbe il taumaturgico effetto di togliere ogni alibi ad ArcelorMittal e di far trionfare in giudizio le tesi dei commissari.
sabato 16 novembre 2019
Sghei e autonomie
Una struttura corrosa e corrotta, una storia di sprechi, marchette, mazzette e retate, una narrazione balzata alle cronache grazie a una Venezia finita per l'ennesima volta sott'acqua.
Un fatto di costume all'italiana che dopo trent'anni di annunci a vanvera, promesse mancate e miliardi buttati si ritrova ad avere a che fare con un complesso di strutture metalliche ormai arrugginito, immerso nel fondale antistante La Serenissima e che con molta probabilità risulterà, se e quando sarà completato, inefficace ancor prima di essere inaugurato.
Un romanzo scritto a quattro mani da un governo di centrodestra e da una Regione a trazione leghista che oggi, a nome di Zaia, Brunetta, Brugnaro, Salvini, Berlusconi e altre facce della stessa medaglia domandano a canali unificati: "Dov'è il Mose?"
E se le mazzette e l'intervento della magistratura sono state identificate come difficoltà burocratiche da colui che tagliò il nastro inaugurale dei lavori, giustificando così il non ancora completamento dell'opera.
E se il leader della Lega, gambali incalzati e foto di rito in mezzo ad una Piazza San Marco allagata, dichiara a cielo aperto che il suo partito, i suoi uomini sono usciti da indagini, inchieste e sentenze con l'aurea degli immacolati.
Perdonateci ma a noi rimane un dubbio, una perplessità, una domanda: perché tutta questa mobilitazione politica (di destra) per quanto accaduto in Laguna?
Perché, dopo che la Lega di Zaia ha votato in Consiglio Regionale contro i cambiamenti climatici (bocciati o respinti gli emendamenti che chiedevano finanziamenti per le fonti rinnovabili) e due minuti dopo Venezia è finita sott'acqua, l'intero centrodestra ha iniziato ha reclamare sghei e autonomie?
Al lavaggio del cervello dei media, e dei politici, sorrido. A quelli che dopo il dramma veneto si sono improvvisamente sentiti veneziani (per qualche giorno) chiederei la motivazione. Certo di trovare una grande percentuale di ignoranza, superficialità, ma sopratutto ipocrisia.
Lo sport nazionale in questo paese di miserabili è quello di sbattersene del prossimo di cui condividiamo il quotidiano. In questo siamo eccellenza. Ma eccelliamo a indossare felpe e tute per un prossimo che nemmeno conosciamo. Non costa nulla, ed è un ottimo modo per mettere a dormire la propria coscienza, oltre a incamerare gratuitamente consensi.
Il legittimare un sistema che da anni sfrutta il dramma dei cittadini riempirà ancora una volta la mangiatoia del malaffare. La strategia dell'emergenza è vecchia di mezzo secolo, un ottimo modo per ottenere il consenso del popolino e mettere in atto le azioni più nefaste che essere politico possa concepire. Come gabbiani sulla spazzatura.
Pochi mesi e il Veneto si recherà alle urne, accompagnato dalla propaganda di chi, per l'ennesima volta, sfrutterà il momento per chiedere l'autonomia, metterà al centro le colpe (degli altri), i ritardi (degli altri), i no (degli altri). Domanderà, come fatto in settimana, perché il Mose non funziona. Ma soprattutto reclamerà, implorerà, solleciterà e chiederà i sghei.
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venerdì 15 novembre 2019
Assassini di sardine
Il punto di non ritorno è ormai talmente evidente che negarlo sarebbe come sputare sui fondamentali deontologici di coloro che dell'informazione ne hanno fatto un lavoro, un mestiere, un motivo di vita.
Gli episodi non si contano più: il Comune di Predappio che nega agli studenti i fondi per la visita ad Auschwitz; Liliana Segre, la bambina che il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che viene dotata della scorta di due carabinieri; la commissione della senatrice contro razzismo e antisemitismo che nasce senza i voti del centrodestra dopo averle mancato di rispetto nell'aula del Senato; il recente funerale di Stefano Delle Chiaie che ha visto un’ottantina di persone salutare con il braccio teso l'ideologo neofascista fondatore di Avanguardia nazionale; la dichiarazione dell'attuale leader della Lega, "Questo caso dimostra che la droga fa male", rilasciata a seguito della sentenza di condanna per i carabinieri ritenuti responsabili della morte di Stefano Cucchi.
Un escalation che nel suo ultimo atto ha visto scatenarsi la bufera dopo che il deputato della Lega, Massimiliano Capitanio, ha paragonato i presenti in Piazza Maggiore che hanno manifestato contro la Lega agli assassini di Marco Biagi.
Il post su Facebook del segretario della Commissione di vigilanza Rai (con tanto di foto della prima pagina del Corriere della Sera con la notizia dell’assassinio di Marco Biagi) ha inevitabilmente scatenato le reazioni di Andrea Romano, del segretario dei democratici Nicola Zingaretti e di coloro che, manifestando pacificamente con una sardina come provocazione nel luogo culto del capoluogo emiliano, si sono visti dare degli assassini da un modo di fare e di essere che nell'ultimo anno e mezzo ha basato il proprio consenso sul veleno dell'odio.
Il male uccide, sempre
"Questo caso dimostra che la droga fa male, sempre. Posso dire che la droga fa male sempre o non posso?"
"Che c’entra la droga? Salvini perde sempre l’occasione per stare zitto". Lo ha affermato Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, dopo che commentando la sentenza di condanna per i carabinieri ritenuti responsabili della morte di Stefano Cucchi, il leader leghista ha detto che il caso "dimostra che la droga fa male".
"Anch’io da madre sono contro la droga - ha aggiunto Ilaria Cucchi - ma Stefano non è morto di droga".
Che fine hanno fatto i 6 miliardi del Mose?
Il governatore Luca Zaia è furente perché non ha idea di dove siano i sei miliardi spesi per il Mose. Forse è andato in Regione quanto Matteo Salvini al Viminale per non sapere che una parte di quei soldi è stata sprecata e l’altra direttamente rubata.
giovedì 14 novembre 2019
Difficoltà burocratiche
Berlusconi da Venezia: "Aiuti immediati significa togliere di mezzo tutte le difficoltà burocratiche che hanno fermato il completamento dell'opera".
Lui le mazzette e l'intervento della magistratura (Scandalo Mose: Febbraio 2013 - Arriva la prima ondata di arresti che comincia a colpire il sistema di corruzione nato intorno all’opera. Il primo a finire in carcere a febbraio è il manager di Mantovani, Piergiorgio Baita, rivelando molto di quello che sarebbe poi diventato lo scandalo Mose. Gli inquirenti il 12 luglio dispongono gli arresti domiciliari per Giovanni Mazzacurati, direttore generale del Consorzio Venezia Nuova, con l’accusa di turbativa d’asta; Giugno 2014 – La seconda ondata di arresti svela il sistema di tangenti distribuite per oliare il meccanismo dei finanziamenti: secondo gli inquirenti, 33 milioni di euro di fatture false. Il 4 giugno vengono arrestate 35 persone, un centinaio gli indagati. Ci sono imprenditori e politici che negli anni sono entrati nel libro paga di Giovanni Mazzacurati, tra cui l’ex governatore leghista Giancarlo Galan.) li identifica come: difficoltà burocratiche.
sabato 9 novembre 2019
Ci ha messo la faccia
Ci vuole del fegato per affrontare una folla esasperata di operai che ti circondano, ti strattonano, ti insultano, ti scaricano addosso tutte le colpe, anche quelle di chi ha le colpe ma lì non c’è, non si è fatto vedere.
giovedì 7 novembre 2019
La scorta alla Segre è l'ennesima sconfitta culturale di un Paese che dalla storia non ha imparato niente
E' come se si potesse ancora sentire quel puzzo che, bruciando l'ossigeno all'interno della Lancia Lambda posteggiata all'angolo tra via Scialoja e il lungotevere Arnaldo da Brescia, attendeva la quotidianità di Giacomo Matteotti.
E' come se Dùmini, Viola, Volpi, Malacria e Poveromo, accomunati dalla trincea, dalla galera, dal fumo e dal vino, adombrassero ancora una volta quelle nubi che segnarono indelebilmente i vent'anni più bui della storia del novecento.
E' come se quel Roskopf d'argento posizionato nella tasca di uno dei fondatori del Fascio di Firenze segnasse ancora le 16:40 del 10 giugno 1924.
Come fermo nel tempo. Come se nulla fosse mutato, cambiato. A un secolo di distanza.
A un secolo di distanza dal giorno in cui il socialista che denunciò la validità delle elezioni dell'aprile del '24 fu scortato, dopo aver imboccato ponte Milvio, nella campagna romana, il numero di matricola 75190 è stato dotato di scorta.
Dall'anno domini 2019, in data giovedì 7 novembre, la senatrice Liliana Segre, la bambina che il 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, vivrà sotto scorta.
Colei che alla fine di gennaio del 1945, dopo l'evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Colei che venne liberata dall'Armata Rossa il primo maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück. Colei che dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni che furono deportati ad Auschwitz, fu tra i venticinque sopravvissuti, potrà circolare su territorio italiano scortata da due carabinieri.
Una misura a tutela di una donna che, avversata da un’escalation di odio, potrebbe essere vittima di attacchi razzisti.
Una decisione che evidenzia la sconfitta della politica. Un provvedimento che mette nero su bianco la sconfitta di una società in preda ad un clima distante dal vivere democratico. Una disposizione che narcotizza e rende apatiche le coscienze, la ragione, sconfitta culturale di un Paese che dalla storia non ha imparato niente.
mercoledì 6 novembre 2019
Giù la maschera
ArcelorMittal avvia la procedura per restituire ai commissari stabilimenti e 10.777 dipendenti, facenti parte dell'Unità produttiva di Taranto (8.200), Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera,
E c'è ancora chi, in malafede o per analfabetismo funzionale da ragione a chi vuole venire nel nostro paese a farsi i cazzi suoi. In barba a leggi, ambiente, salute e lavoratori.
martedì 5 novembre 2019
Accusato e accusatore
Le azioni del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte sono state giudicate totalmente appropriate e alla luce del sole dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, responsabile per le indagini sui conflitti di interesse in Italia.
Ma poi, se le azioni dell'accusato (Giuseppe Conte) sono state giudicate appropriate dall'Autorità garante, come può l'accusatore (Matteo Salvini) accusare se quella riunione del Cdm (decidere sull'esercizio o meno della cosiddetta Golden Power con riguardo all'operazione Retelit) la presiedeva proprio lui?
lunedì 4 novembre 2019
Tre piste, una condanna - parte prima
Pioveva, quella mattina, a Brescia. In città si respirava il disagio dei giorni sbagliati. O forse soltanto la tensione delle grandi occasioni. 28 maggio 1974, martedì: Gianpaolo Zorzi, studente all'ultimo anno di Giurisprudenza, era a casa. D'improvviso sente, come tutti quel giorno a Brescia, il boato. Alle 10:12 il rumore di un'esplosione potente lacera un cielo grigio che sembra d'autunno. Gianpaolo esce di casa e si precipita verso Piazza della Loggia, dov'era indetto il comizio antifascista. Per strada incontra un amico, faccia stravolta: viene dalla piazza, ha assistito allo scoppio, ha visto con i suoi occhi la scena orribile dei feriti che gridano e dei morti che non si lamentano più. E' una bomba.
Molti anni dopo, Gianpaolo Zorzi, diventato giudice istruttore presso il Tribunale di Brescia, si è trovato a dover indagare su quella strage che ha sfiorato la sua vita.
Quella di Brescia è l'unica strage di cui esiste un documento sonoro: la registrazione del comizio, interrotto dal boato, a cui seguono le urla, lo smarrimento, la disperazione. Una diretta dell'orrore. Ma le tracce che sarebbero potute servire alle indagini, quelle sono state cancellate. "C'è stata una dispersione sciagurata dei reperti dell'esplosione", constata Zorzi. E' il primo buco nero delle indagini: subito dopo la conflagrazione, i vigili del fuoco sono stati chiamati dal funzionario della polizia Aniello Diamare a lavare la piazza con i getti ad alta pressione. Perché?
La prima inchiesta, avviata subito dopo l'attentato, è condotta dal giudice istruttore Domenico Vino, affiancato dal pubblico ministero Francesco Trovato. E la prima pista battuta è quella milanese. L'attenzione del magistrato si concentra sui sanbabilini. Soprattutto Cesare Ferri. Che entra nelle indagini quasi per caso. Il 31 maggio 1974 Ferri è fermato a Milano insieme a due esponenti di Avanguardia nazionale: Alfredo Gorla e Claudio Cipelletti. I tre sono portati a Brescia. Ma tutti hanno un alibi. Ferri, per esempio, la mattina della strage era all'università Cattolica di Milano. Lo hanno visto in tanti: il professor Paolini, la biondina Daniela Rapetti seduta sui gradoni dello scalone dell'Università, Alessandro Stepanof, studente-lavoratore.
La pista Ferri cade nel nulla. Anche perché all'inizio del 1975 il capitano Delfino porta ai giudici il bandolo di un'altra matassa da dipanare. E' una pista bresciana, questa volta. Indiziato numero uno: Ermanno Buzzi.
Anche Buzzi entra nell'inchiesta quasi per caso. La prima sentenza arriva nel luglio 1979. Buzzi è condannato all'ergastolo come esecutore della strage. Dieci anni di reclusione, come complice, ad Angiolino Papa (figlio di quel Luigi che testimonierà sulla colpevolezza di Buzzi).
L'anno dopo, mentre si attende il processo di appello, due strane lettere arrivano a Brescia. La prima, siglata A.F., è indirizzata al giudice di sorveglianza del carcere. La seconda, firmata Angelo Falsaci, è spedita a Ermanno Buzzi. Che cosa scrive il misterioso estensore delle due lettere? In sintesi: io so la verità, la strage è opera dei sanbabilini (il riferimento è a Ferri, Bernardelli e De Amici?), dunque Buzzi stia tranquillo, perché è innocente.
Una rapida indagine arriva a stabilire che l'autore delle due lettere era proprio lui, Buzzi in persona. Perché aveva cominciato a mandare strani segnali? Aveva deciso di parlare, per togliersi dai guai in appello? Non lo sapremo mai. Perché Buzzi, proprio alla vigilia del processo di secondo grado che si doveva tenere a Brescia, viene trasferito dal carcere di Brescia al supercarcere di Novara. "Parto per la fatal Novara", mormora prima di lasciare la sua cella.
Non passano 48 ore dal suo arrivo nella nuova destinazione, che Buzzi, la prima volta che esce per l'ora d'aria, viene prelevato da due killer neri, Pierluigi Concutelli e Mario Tuti, ospiti dello stesso carcere. Lo strangolano con i lacci delle scarpe, in un angolo del cortile, mentre i detenuti presenti (tra questi Nico Azzi e molti altri neri) continuano a giocare a ping-pong. E' il 13 aprile 1981.
La sentenza di appello, nel marzo del 1982, assolve tutti. Un'altra strage senza colpevoli, scrivono i giornali. La Corte di Cassazione però, nel novembre 1983, annulla l'appello per alcuni degli imputati, tra cui Angiolino Papa, Marco De Amici, Nando Ferrari. Nei loro confronti il processo di secondo grado viene celebrato di nuovo nel 1985, a Venezia: è per tutti assoluzione per insufficienza di prove.
Il 21 marzo 1984, a sorpresa, comincia il secondo atto di questa storia infinita...
da "Piazza Fontana, il primo atto dell'ultima guerra italiana" - Gianni Barbaceto, Garzanti
domenica 3 novembre 2019
Non è il Movimento 5 Stelle che ha perso l'anima, ma Salvini che gli ha rubato la narrativa
Che i 5 Stelle siano venuti al mondo per un bug politico sociale lo narra la storia. Una storia nata l'8 settembre 2007, quando i 50 mila di Bologna, in collegamento virtuale con altre 179 piazze italiane, concretizzarono i sogni e le speranze coltivate sul web, in un blog, da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Quel giorno banchi e gazebo raccolsero la delusione di un popolo intero e oltre 300 mila firme per una legge che doveva impedire l'elezione dei condannati in via definitiva. Quel giorno ragazzini, giovani e anziani, senza imbracciare bandiere o altro tipo di vessillo politico, sposarono le cinque tematiche di fondo proposte da Grillo: acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia. Quel giorno il filo rosso degli interventi del comico genovese avvolse il pensiero unico dei presenti: "la politica deve tornare in mano ai cittadini." L'abbraccio, carnale, ideale e virtuale, non conobbe limiti, e quell'evento, definito da Grillo "straordinario", fu la scintilla che diede fuoco alle polveri del poi fu Movimento 5 Stelle. In dodici anni di acqua sotto i ponti ne è passata tanta. Dai cinque anni di opposizione ai quasi due di governo, i grillini hanno più volte cambiato pelle, idee e alleanze, ma mai hanno perso l'anima, quella che, da piazza Maggiore alle sedi istituzionali ha portato avanti quell'anti-politica, quell'anti-sistema capace di concretizzare le misure presentate per anni ai cittadini: spazzacorrotti, decreto dignità, taglio dei vitalizi, taglio dei parlamentari, rimborso per le vittime dei crack bancari, blocco trivellazioni, blocco scudo penale, progetto acqua pubblica, reddito di cittadinanza. Tutti provvedimenti nati nelle piazze, tra la gente, ascoltando i cittadini, comunicando con la realtà di tutti i giorni.
Sedendo in quelle sedi che hanno permesso l'attuazione delle promesse fatte, tra i 5 Stelle e la popolazione si è creato il buco, un vuoto che ha allontanato quel 33% che nel marzo del 2018 aveva sposato un progetto, una speranza, un'anima.
Sfruttando la disciplina, la serietà degli eletti, il lavoro quotidiano del Movimento, quell'intercapedine popolare è stata stipata da chi ha preferito rimanere in campagna elettorale permanente, rilanciando quotidianamente la polemica politica, mettendo in pratica quella narrativa, senza mettere in pratica nulla di concreto, che tanti consensi aveva portato a quel sogno nato in un lontano pomeriggio di settembre.
In quel momento è iniziata la scalata al consenso popolare di Matteo Salvini: inventandosi l'abbraccio con il popolo, il selfie compulsivo, il propagandare pensieri e umori che hanno raccolto i sentimenti di chi ha ritrovato nel leghista la figura dell'anti-politica, dell'anti-sistema, senza nemmeno rendersi conto che a farlo è stato proprio colui che di quella politica, di quel sistema ha sfruttato le sfumature e le evenienze degli ultimi venticinque anni.
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